Il limite è parte della vita dell’individuo, delle organizzazioni e delle comunità anche se ce lo siamo dimenticati.
Se il nuovo postulato è ‘non ci sono limiti’, allora noi che ci occupiamo di scienze umane abbiamo fallito.
La ricerca spasmodica del “funzionare bene” in tutte le situazioni e in tutti le condizioni è un’illusione, una pretesa.
È una trappola.
Capita a quelli come me che frequentano le organizzazioni di arrivare ad un punto in cui si manifesta una situazione di stallo.
Il compito di aiutare l’azienda a funzionare meglio favorendo un buon clima si inceppa.
Tutto il nostro sapere viene messo in discussione perché non siamo stati capaci di far cambiare la testa delle persone.
Non siamo stati in grado di aiutarle ad essere felici nonostante i grossi carichi di lavoro, un alto stress, un mondo del lavoro senza troppe tutele dove la cosa importante è raggiungere un risultato senza considerare i costi.
La pretesa di far funzionare le persone come macchine è disumano.
Ma è anche la trappola in cui si cade se si entra in questa logica. Perché formatori, consulenti, coach o counselor che siano, non possiamo ‘programmare’ il singolo individuo a piacimento.
Deve arrivare un momento in cui o tutta l’organizzazione cambia oppure il nostro compito con le singole persone fallisce.
Forse dovremmo comprendere quale sia la volontà reale delle organizzazioni e fermarci lì.
Senza entrare nella trappola che vede noi responsabili di un processo di cambiamento che evidentemente l’azienda non è ancora pronta a compiere.
Perché il cambiamento è del soggetto che desidera metterlo in atto.
Se mai noi possiamo far emergere dallo sfondo le risorse per affrontarlo, rafforzando motivazione e immagine di sé, indicando la strada per superare la famosa comfort zone.
Ma il cammino non è il nostro.
Lì c’è il nostro limite.
Lì ci dobbiamo fermare.