Provate a presentarvi raccontando chi siete senza dire cosa fate.
Come possiamo essere flessibili, come possiamo vivere in un mondo complesso se accettiamo di rinchiudere la nostra essenza in scatolette di tonno come lo sono i profili FB, Linkedin o di un curriculum vitae?
La tragedia nevrotica del nostro tempo, la schizofrenia che ci rende schiavi non accetta la fluidità del vivente che possiede una dinamica propria.
Ognuno di noi fa esperienza del carattere paradossale del nostro tempo inscenando giorno dopo giorno la tragica maschera che il mercato, le istituzioni e con esse certi teorici e guru hanno deciso per consentire un passivo adeguamento alla società ipermoderna.
Stiamo attraversando l’era della performance dove funzionare in un certo modo sostituisce l’esistere, dove le potenzialità e i talenti sono solo il ridicolo slogan che ha come finalità possedere prestazioni efficaci ed efficienti come i nostri pc.
Ma di una cosa si può essere certi ed è che colui o colei che si identificano con un’etichetta perderanno la potenza dell’esistenza.
La pretesa di sapere se un dato comportamento sia innato o acquisito per determinare il nostro divenire attraverso test di personalità o più spesso attraverso freddi algoritmi, significa dar prova di semplicismo che nega quella tensione tragica ma anche gioiosa che comprende l’essere e il divenire.
Viviamo nella complessità ma pretendiamo che tutto sia lineare. Aborriamo qualsiasi stortura o possibile fallimento nascondendoci dietro profili a metà. La metà accettabile, naturalmente!
Eppure, c’è un che di meraviglioso nelle pieghe storte, nei volti segnati, negli sguardi persi.
È l’umano che esiste e che molto spesso si trova là dove non vogliamo più andare. Nelle case di riposo, nei centri per disabili, là dove la sofferenza lascia il posto ai sorrisi veri.
Io quell’umanità l’ho trovata con le donne del carcere della mia città, in uno spazio di incontro e di scambio tra ciò che sta fuori e ciò che sta dentro. Ma per farlo sono dovuta andare oltre le definizioni.
(Le immagini sono di Giulia Rosa)