Il tempo è la questione della nostra contemporaneità. Tutto è frenesia e nella frenesia nascondiamo la nostra vulnerabilità. Si corre, si cade, si sbaglia. Poi è tutto da rifare. Nella corsa contro il tempo non possiamo vincere. Soprattutto per il tempo dell’esistenza. C’è un tempo “che sfugge, niente paura, che prima o poi ci riprende” – dice Fossati.
E il tempo per elaborare le situazioni non coincide con i tempi tecnologici. C’è un tempo per tutto, ma per avercelo dobbiamo darci tempo di masticarlo, ingoiarlo e assimilarlo. Come in tutte le separazioni, i traumi, come in tutti i lutti della vita.
La psichiatra svizzera Elisabeth Kubler Ross ha trascorso anni ad osservare e supportare i pazienti terminali. Il suo modello a cinque fasi[1], elaborato nel 1970, rappresenta uno strumento che permette di capire le dinamiche mentali più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, ma gli psicoterapeuti hanno constatato che esso è valido anche ogni volta che ci sia da elaborare un lutto solo affettivo, ideologico o solo un’aspettativa disillusa.
1. Fase della negazione o del rifiuto
“Non è vero!”. “Non ci posso credere”. In questa fase si usa ci si difende rigettando ciò che succede nella realtà; spesso si è pervasi da incredulità, stupore e negazione. Questa reazione può essere funzionale per proteggerci da un’eccessiva ansia e per prendersi il tempo necessario per riorganizzarci.
2. Fase della rabbia
Dopo la negazione iniziano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura che esplodono in tutte le direzioni. La frase più frequente è “perché proprio a me?” È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
3. Fase della contrattazione o del patteggiamento
In questa fase iniziamo a darci da fare per capire in quale progetto possiamo investire la nostra speranza, e iniziamo una specie di negoziato con noi stessi: “se guarisco farò…”, “se mi darai una seconda possibilità io …”, “se ci riprovo allora farò…” In questa fase, si cerca di prendere il controllo della propria vita per riparare il riparabile.
4. Fase della depressione
E’ una fase dolorosa perché prendiamo consapevolezza della perdita che stiamo subendo. Questa fase viene distinta in due tipi di depressione: una reattiva ed una preparatoria. La depressione reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali sono andati persi. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire.
5. Fase dell’accettazione
Ma come ogni ciclo si arriva ad un termine. In tutte le elaborazioni si arriva ad un’accettazione della propria condizione anche se possono sempre essere presenti livelli di rabbia e depressione, che però sono di intensità più moderata rispetto a prima. In questa fase la tendenza è quella di rimanere silenziosi e raccolti in se stessi. E’ il momento in cui desideriamo e accettiamo di più che persone ci stiano vicino.
Il punto è che siamo ancora umani e l’unico modo di camminare in questa vita è accettarlo, con tutte le fragilità, le imperfezioni, le storture e le rotture. Che forse sono anche un valore.
“Dicono che c’è un tempo per seminare
E uno più lungo per aspettare
Io dico che c’era un tempo sognato
Che bisognava sognare“
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[1] Kubler E.R, La morte e il morire, Cittadella Editore, 2005