Abituati a vedere ciò che altri ci indicano di guardare perdiamo di vista il vero significato delle fiabe. Perché diciamolo, questa Cenerentola, questa Vassilissa e come loro tante altre, non avevano un gran “culo” per il fatto di sposare un principe!
Queste storie hanno inizio con la perdita della figura materna. Un femminile buono che lascia un vuoto simbolicamente necessario per vivere il processo di crescita.
Ci sono diverse versioni della stessa storia e in tutte vi sono prove che la protagonista deve superare per arrivare a compiere la sua felicità.
Tra le prove sono incluse le vessazioni, le cattiverie e le invidie di matrigne e sorellastre. In diverse fiabe appare l’archetipo della figura negativa del femmineo, non più come strega o come matrigna, ma nel suo doppio ruolo: le sorellastre invidiose e perfide.
Ed è grazie a queste perfide matrigne e sorellastre che vengono fuori le potenzialità dell’anima di Cenerentole, di Vassilissa e di tutte le altre.
Le sorellastre e le matrigne ci mettono in contatto con il vuoto che prova un’anima senza spiritualità, senza amore e senza consapevolezza. Un’anina che vive l’apparenza perché non si è ancora realizzata e non può sopportare quelle che lo sono.
È stato molto doloroso per Elisabetta ammettere la sua invidia nei confronti di Giovanna, la sua migliore amica. Non avete idea del quantitativo di stress e di sofferenza ha dovuto provare per reprimere e camuffare questo tumulto di passioni! Immaginate come dev’essere non poter esternare tutto il livore nei suoi confronti, più bella, più corteggiata, più vincente, con uno stipendio migliore e ora anche un uomo! Se Giovanna fosse stata come l’altra amica storica, Luisa così dimessa e insicura, così priva di autostima e così succube del marito…con lei infatti è tutto più facile. Infatti con lei riesce bene a rapportarsi perché bisognosa e più “sfigata” di lei. È una vera vittima con cui assumere atteggiamenti salvifici da paladina della giustizia. Ma con Giovanna è diverso. Ogni volta che raggiunge un traguardo non riesce a riconoscerlo e quando si congratula lo fa a denti stretti. Quando le hanno dato una promozione e sono uscite a festeggiare, Elisabetta era sotto tono e per tutta la cena ha parlato male del capo, di come la vita l’ha resa cinica e di come i suoi sforzi non vengano apprezzati né sul lavoro né a casa. Per poi finire con una battuta acida scappata tra i denti e rivolta all’amica della serie – chi sa poi cosa vorranno in cambio! che ripensandoci l’ha fatta sentire davvero perfida.
Purtroppo l’Invidia nasce da una grande mancanza di personalità. Il non sapere essere se stessi porta a confrontarci continuamente con gli altri. L’invidiosa soffre di un complesso d’inferiorità che non ammetterà mai. È un sentimento che corrode perché non fa vedere cosa si nasconde dietro: un profondo apprezzamento per quello che si vorrebbe essere ma non si è o non lo si è ancora ecc. L’invidia è una passione timida e vergognosa che non si osa confessare perché è un odio sottile che non si vuole riconoscere. Per questo motivo spesso chi invidia finge con sorrisi di falsa circostanza ma trasmette una sensazione ambivalente che arriva in modo chiaro.
Il punto è che in un mondo maschile noi donne abbiamo ancora tanti passi da fare e questo giro non dipende da loro. Si parla di “sorellanza” ma alla prima occasione si presenta l’altro volto del femmineo. Quella verde dell’invidia che rovina tutto, fatta di trame e di tranelli, becere insinuazioni, subdole coalizioni. Succede in famiglia, sui luoghi di lavoro di tutte le categorie.
Ciò che rimane da fare è continuare a camminare e a lavorare sodo come sempre. Perché alla fine ciascuna di noi possa diventare se stessa.
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