Con questo articolo voglio precisare alcuni aspetti della speranza per rispondere a quanti sono comprensibilmente stanchi e logorati nel riporre fiducia in qualcosa altro da noi. È per coloro che, incitando al coraggio, promuovono l’azione in contrapposizione alla speranza.
Uno stato d’animo che va nettamente distinto dalla speranza è l’ottimismo che è intimamente legato al convincimento di poter operare sulle cose, giungendo a soluzioni pragmatiche sul piano delle tecniche e in vista di un progresso immancabile.
Ma non tutto dipende da noi ed è su questo piano che la speranza afferma l’inefficacia ultima delle tecniche nella risoluzione del destino dell’uomo.
Io credo che azione e speranza possano coesistere.
Credo che solo l’atto creativo possa agire sulla realtà e che le parole senza gli atti siano puro slogan.
Ma sono altresì convinta che la speranza rappresenti una determinazione fondamentale della persona, un atteggiamento esistenziale di base, «una caratteristica fondamentale della storicità dell’uomo», paragonabile ad un amore del futuro.
È il convincimento che “domani sarà un altro giorno” come citava Rossella O’Hara, poiché tanto maggiore è il sentimento di vita, tanto più vivace è la speranza.
Lersch pone ciò in relazione con i sentimenti vitali: chi è triste e chi ha sentimenti di debolezza ha anche poca tendenza a sperare.
In effetti, mentre l’ansietà ed il timore dell’avvenire sono già delle malattie, la speranza invece è prima di tutto una distensione dell’Io.
È quel sentimento così ingordo di vita che fa ci fa interessare anche alla morte che forse è il suo contrario.
Essa fa credito, dona del tempo, offre spazio all’esperienza in corso essendo parte ontologica dell’uomo.
Riferimenti:
Aspetti fenomenologici e clinici della speranza di Callieri e Frighi, “Rivista Sperimentale di Freniatria”, 92 (1968)