Io aiuto te. Ma chi aiuta me?

Sandra è un’operatrice sociale che lavora presso un centro per disabili mentali. Adora il suo lavoro e negli anni ne ha fatto una missione.
Si è specializzata in teatroterapia e spesso la utilizza con i suoi ‘pazzerelli’.
È così assorbita in quella dimensione che quando torna a casa si sente confusa, spaesata incompresa. Diverse volte ha dichiarato di sentirsi più a suo agio con i suoi matti che con le altre persone.
Allo stesso tempo sente che nella sua vita qualcosa comincia a scricchiolare.
Il marito è sempre più distante, i figli ormai grandi studiano in un’altra città e lei si sente sola e molto appesantita.
Quando la sera torna a casa avverte un senso di oppressione e le cose del quotidiano le sembrano banali e noiose.

Sindrome di Burnout

Arriva un momento per chi si occupa degli altri, che sia insegnante,  operatore sociale, infermiere, psicologo, assistente sociale o counselor, in cui bisogna domandarsi se va tutto bene perché per prendersi cura degli altri bisogna stare bene. In molti casi bisogna mettere un punto per riconnettersi con le proprie esigenze che si modificano con il tempo.

Quando ho iniziato a lavorare con Sandra l’ho ascoltata con molta curiosità. La vita di chi lavora in ambito psichiatrico è molto affascinante perché ci mette in discussione continuamente. Anche con lei ho utilizzato la scrittura per rielaborare il vissuto e integrare le esperienze.
All’inizio le lettere di Sandra erano molto ricche di contenuti e molto belle nella forma però mancavano di una parte introspettiva con un vero contatto con il suo sentire. Cosa che si è modificata negli incontri successivi quando ho pensato di suggerirle una condivisione ad alta voce.

La voce sottolinea le diverse sfumature delle nostre intenzioni più o meno consce.  Evidenzia ciò che non viene messo in luce a parole ma espresso attraverso il non detto. Quando Sandra ha letto ad alta voce la prima volta sembrava recitasse. Quella che descriveva non sembrava la sua esperienza ma quella di un’altra persona. Il mono tono, il sorriso stereotipato, il ritmo troppo regolare mi davano una sensazione di fastidio. Non sono riuscita a dirle subito cosa provavo ma al terzo incontro, quando ho notato che non si andava da nessuna parte, ho deciso di condividere ciò che provavo e da quel momento è cambiato qualcosa. Per lei è stato come vedersi perla la prima volta allo specchio. Si è resa conto che ciò che provava era ben diverso da ciò che mostrava esternamente.

Man mano ha preso più confidenza con il suo mondo interiore e si è resa conto che aveva passato troppo tempo ad occuparsi degli altri, finendo per non occuparsi più di se stessa e della sua famiglia.
Oggi io e Sandra continuiamo a sentirci e ogni tanto mi manda qualche lettera che poi commentiamo insieme. Durante il lockdown ci siamo sentite parecchie volte anche con internet e abbiamo stabilito un percorso di supervisione che continua a produrre i suoi frutti.

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico filosofico e Gestalt Counselor. Umanista convinta, mi occupo da oltre 15 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

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Ontologia, psicoanalisi, logica. Personale docente Università degli studi di Verona

Logica, filosofia della scienza. Psicoanalisi clinico didattica.

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