E se ci si ammalasse perché non si riesce a trovare la propria collocazione nel mondo, il proprio scopo?
Sempre più competitivo, sempre più stereotipato, più meccanico e dis- umano.
Il nostro mondo è così.
Sono anni che i grandi pensatori ci dicono che siamo una società malata.
Ma per quanto ancora dobbiamo sentircelo dire?
Il punto è che se l’intera società è malata, cosa possono fare le singole persone?
Quale approccio terapeutico può alleviare il disagio esistente? Cercando modalità di adattamento ad un contesto psicotico?
Uno dei problemi di questa malattia è la descrizione di un mondo che non crede nel valore della varietà.
Varietà è un termine che nel nostro mondo ci sta stretto. Perché include la diversità.
Ma questa è un valore imprescindibile che accoglie ogni specie in una visione ecologica e sostenibile.
La natura è varia di specie, colori, eventi atmosferici.
Lo stesso umano è un’insieme di varietà: il colore della pelle, l’altezza, il peso, il modo di sorridere o di non farlo.
C’è varietà nei caratteri, nei modi di esprimersi, negli di stili di vita.
Eppure questa varietà dà noia.
Perché non è omologabile, non è facilmente definibile.
È bizzarra e ci mette in contatto con quella parte irrazionale e sconosciuta che è l’anima.
La scuola ci vuole perfetti per entrare nel mondo del lavoro. Bisogna produrre!
Fior fior di statistiche ci ricordano come gli italiani siano negli ultimi posti delle classifiche per laureati in discipline tecniche e tecnologiche.
Così inizieremo a spingere i ragazzi a studiare non tanto per realizzarsi come persone ma per inserirsi nel mercato.
Non che il mercato non sia importante ma cosa si può fare per tenere conto dei diversi talenti? Credo che ci sia bisogno di ridefinire la questione.
Abbiamo bisogno di creatività e intuito, di gente che sappia pensare, che sappia motivarsi ma anche di darsi un senso.
Perché se non lo troviamo noi, avremo sempre qualcuno che ci dirà come dobbiamo essere, cos’è bene per noi, cosa si deve fare e cosa no.
E la maggior parte delle volte rientra nel disegno di quella omologazione dis-umana.
(illustrazione di Giulia Rosa)