“Considero i miei androidi una piattaforma di ricerca. Un prototipo continuo per capire le possibilità e i limiti della tecnologia, ma soprattutto per scoprire di più sull’essere umano”.
Lo dice Kohei Ogawa ricercatore e docente di robotica e intelligenza artificiale all’Università di Nagoya.
Continuare a svilupparli con sembianze umane rende l’approccio alla macchina totalmente diverso: quando si ha di fronte un androide si sa che è un robot, ma si prova qualcosa, si sentono delle emozioni. Ci si riconosce e ci si fida di più.
Il senso di molti studiosi è costruire una società centrata sull’utilizzo di queste macchine per generare più benessere e più tempo libero, così da concentrarsi su cose più umane, come l’arte.
Gli esperti sostengono che in futuro conviveremo pacificamente con gli androidi, in casa e all’esterno e ci chiederemo qual è un lavoro dove il corpo umano è davvero necessario.
Ciò comporta sin da ora un inevitabilmente cambiamento e una rivoluzione e un’acquisizione di nuove competenze oggi ancora sconosciute.
Lo studio di questi robot, apre davvero il campo a vaste considerazioni sulla natura umana.
Per esempio, un androide conosce il significato dell’amore? È possibile replicare il mondo profondo dell’individuo?
Sicuramente, questi esseri possono farci paura perché assomigliano tantissimo all’essere umano. Ma ciò che davvero deve fare paura è l’ umano stesso!
Il perturbante nasce dalla consapevolezza che esistano delle emozioni interne e delle emozioni sociali che si sviluppano nella comunicazione e che queste possono essere apprese. Come ad esempio gli atti che si compiono nel sesso. E infatti, esistono macchine pensate proprio per questo.
Ci sono studi su androidi che dirigono orcheste. Alter3 è un esempio davvero realistico, che impara da solo, si muove e interagisce fino al punto di coordinare i propri gesti con quelli di un’orchestra.
Poi ci sono studi sulla coscienza.
Sempre Ogawa ha lavorato ad un Buddha androide, che attorno a se ha proiettate immagini sacre, in un contesto all’apparenza molto religioso, per capire come ciò che ci circonda influenza l’efficacia di un messaggio.
Se un androide riesce a trasmettere messaggi religiosi e a muovere le coscienze, che confine c’è tra scienza ed etica?
Il mio sospetto è che l’intera società stia assumendo caratteristiche meccaniche e che l’intenzione sia quella di far assomigliare sempre di più gli androidi all’uomo per realizzare una dimensione sempre più controllabile, come del resto sostiene il filosofo Eric Sadain in “Critica della ragione artificiale”.
La fantascienza, che è sempre stata precursore delle tendenze scientifiche, ci ha abituato all’idea che possano convivere umani e replicanti.
Se già in Blade runner prima maniera si faceva fatica a riconoscerne la differenza per la capacità di provare sentimenti, nel sequel il tutto si complicata per la nuova capacità di generare.
Dunque, il vero rischio non è forse che sia l’umano ad assomigliare sempre di più all’androide?