L’Italia è stata la meta più gettonata in questa estate balorda all’insegna del Covid. Una ri-scoperta per quanti avrebbero trascorso le ferie all’estero.
Eppure chi ama viaggiare come me, prova una certa meraviglia dinanzi ai nostri panorami, ai campanili e le piazze per non parlare degli affreschi che narrano la nostra storia, le abitudini e la mentalità.
Ed è in questi luoghi che si sposano bene lo stupore e la meraviglia, stati d’animo detti dai greci thaumàzein, dove in quel thàuma stavano sia la gioia della novità sia l’angoscia dell’ignoto (rif. Platone e Aristotele).
Rimango meravigliata davanti all’incantevole bellezza dei borghi umbri e le doci colline marchigiane. Mi lascio suggestionare dall’atmosfera che si percepisce in certe chiesette disperse lungo i vicoli o nelle immense cattedrali sapientemente affrescate.
Meravigliarsi, sorprendersi, il non sapere del proprio essere e di quello del mondo, stimolano a porsi domande che sfociano nella ricerca di risposte.
Ed ecco perché oggi ne abbiamo un assoluto bisogno: per non arrendersi alla banalità dell’ovvio.
Secondo il filosofo Ernst Platner, chi si stupisce è colui che è in grado di prestare attenzione alle cose.
L’attenzione c’è, è lì presente, sembra uno stato preesistente, necessario e sufficiente, sul quale cade l’oggetto «nuovo e inatteso» che la muove energicamente, la scuote e la sollecita generando stupore, meraviglia.
Per Kant, le due cose che maggiormente suscitano nell’uomo stupore e meraviglia sono “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”; mentre Martin Heidegger, in Che cos’è la filosofia, sostiene che lo stupore sia un principio squisitamente filosofico.
La meraviglia o la capacità di meravigliarsi, è un modo di fare esperienza nel mondo rimanendo aperti all’inatteso oltre ciò che si crede di conoscere.
È chiaro che questo atteggiamento è contrario al cinismo che tutto spiega e riduce a pura meccanica.
È un atto rivoluzionario nei confronti di una vita preconfezionata.
La sorpresa infrange l’esperienza, devia dalle nostre aspettative e dal corso normale delle cose.
Nasce dal sensazionale, ovvero dalla sensatio, ciò che coinvolge tutti i sensi, ma anche l’intelletto, se sensatus, sensato, cioè ragionevole in quanto dotato di senso.
Se qualcosa ci sorprende, è perché ci lasciamo attrarre dall’ inatteso che col suo messaggio, ci rapisce con quello che ha da dirci.

Si rimanga quindi, aperti all’altro, al diverso e al nuovo, con quella disposizione che Heidegger chiama Gelassenheit (rilassatezza), e Adorno il «lungo e innocente sguardo sull’oggetto», intendendo con ciò l’inclinazione a presentarsi attenti, aperti e rilassati davanti agli incontri con cose, eventi, persone.
Ma non è così semplice vista la natura ambientale della meraviglia e dello stupore. Essi infatti, non sono solo momenti di grazia ma possiedono anche una dimensione di orrore, di angoscia e turbamento che provoca l’ignoto, il diverso, lo sconosciuto.

Quindi, lo stupore e la meraviglia sono un modo di vedere e di fare esperienza nel mondo.
Direi quasi che nel mondo tecnologico, sono una scelta che diventa un modo di essere e di dirigere la propria esistenza.
La curiosità data dalla meraviglia nel porsi domande, porta inevitabilmente a trovare risposte. Ma se si vuole stupirsi si deve mantenere un atteggiamento ‘ingenuo‘ nonostante l’affermarsi di scienza e conoscenza.
È ciò che proviamo ogni volta che ci affacciamo ad un cambiamento che non avevamo previsto. Un turbamento davanti ad una catastrofe climatica o la stessa paura di ammalarsi di Covid e per le sue conseguenze.
Poiché nell’epoca della tecnè neppure il meteo è più imprevedibile, siamo sempre meno abituati a farne esperienza, illudendoci che la vita possa essere manipolata, diretta e controllata, quindi più sicura.
Credo che lo stupore sia per i coraggiosi. Per chi non si abbatte, lotta e spera nel domani.
Perché l’esistenza non sia riducibile ad una scatola preconfezionata mantenendo quell’appuntamento inatteso e per questo emozionante dove “mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
(G.Leopardi, L’infinito)
(Illustrazioni di Rebecca Dautremer)