I buoni propositi che molti si sono prefissati durante il periodo COVID dovrebbero includere anche qualche riflessione sugli indicatori di crescita, perché se non moriremo per il virus, potremmo morire dal punto di vista socio-economico e ambientale.
Cibo spazzatura, droghe, sigarette, traffico, incidenti stradali, femminicidi, alcolismo, dipendenza da gioco d’azzardo, fuoriuscite di petrolio, emissioni di carbonio: tutto questo può contribuire alla crescita del Pil, ma certo non favorisce il nostro benessere.
In un rapporto al Congresso degli USA del 1934, Simon Kuznets, sottolineò che: «il benessere di una nazione difficilmente può essere dedotto da una misura di reddito nazionale»
Lo fece anche Robert F. Kennedy, parlando del PIL in questi termini: «non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».
Il fatto è che puntare sul PIL è come guardare il dito e non vedere la luna, poiché esso nulla dice sulla distribuzione del reddito tra ricchi e poveri, sui costi ambientali di produzione e del consumo, e dice poco anche sulla capacità di miglioramento del nostro benessere sul lungo periodo.
Non fa emergere le vere problematiche inerenti la sicurezza economica per milioni di persone e la conseguente instabilità sociale sul lungo periodo; né tanto meno ci parla del cambiamento climatico e la perdita delle biodiversità.
Quindi, cos’è davvero benessere?
Sempre più spesso si parla di “crescita inclusiva” e “crescita verde”. Sono due tematiche da approfondire perché continuare a parlare di PIL non ci aiuterà a risolvere i problemi che abbiamo creato fin ora.
E l’Europa quale posizione vuole tenere in merito? Se la crisi che stiamo vivendo servirà come opportunità verso un miglioramento lo impareremo soltanto se si inizierà a pensare in modo differente perché nulla sarà più come prima.
Allargare le prospettive, spostare gli indici verso altre vie e considerare ciò che fino ad oggi è stato svalutato sarà l’unico modo per affrontare il prossimo futuro.
Penso come molti che le tematiche siano legate alla globalizzazione dei diritti, l’inclusione delle popolazioni più deboli e la valorizzazione del potenziale delle donne che viene sfruttato solo per una percentuale ridotta. Si pensi infatti, che il 75% del lavoro mondiale non retribuito è svolto da donne (McKinsey ne calcola il valore in circa 10 trilioni di dollari), il terreno coltivabile appartiene alle donne solo per il 13%, mentre per la FAO sostiene che se avessero parità di accesso alle risorse produttive, i raccolti potrebbero aumentare di quasi un terzo.
C’è tutto un mondo inesplorato che attende le prossime riflessioni e penso che in questa situazione debbano collaborare economisti, ecologisti, sociologi, medici e filosofi perché ogni prospettiva può essere interessante per integrare la complessità e la portata di quello che ci attende.