Cappelli

Adoro i cappelli. Ne possiedo tantissimi di tante forme e misure, regolari e irregolari. Alcuni sono stranissimi. Ho un panama che uso quando vado al mare. Uno con tesa larga molto sciccoso. Uno da capotreno, uno da cavallerizza e uno da nostromo. Mi piace indossarli e ogni volta che ne metto uno mi sento diversa.

Sono simpatici e per qualche momento posso immaginarmi mille situazioni! Ricordo che durante l’esame per diventare Counselor io e le mie colleghe abbiamo presentato un workshop esperienziale usando questi bellissimi oggetti come strumenti per allenare un’altra ipotesi di sé. Io quello strumento continuo ad usarlo ogni volta che mi si presenta l’occasione e consiglio spesso di farlo anche alle persone che vogliono essere accompagnate in un percorso di autoconsapevolezza.

La domanda è semplice: sono come vorrei essere?

Lo psicologo americano Carl Rogers sostiene che dal contrasto tra sé reale e sé ideale nasce il fenomeno dell’incongruenza, in cui il bambino rinuncia al soddisfacimento del suo bisogno, della sua saggezza organismica, per soddisfare l’aspettativa genitoriale. Avviene così uno scollamento, in cui il soggetto nega o distrugge l’esperienza se è compromettente per la propria struttura del sé. È in questo scollamento che avrebbe origine il disagio psicologico di adulti e bambini.

Il sé reale è costituito da tutti i concetti, le percezioni, i vissuti e le valutazioni che diamo di noi stessi così come ci vediamo e crediamo di essere.

Il sé ideale, invece, è la somma delle caratteristiche che vorremmo possedere. Più queste due immagini coincidono, più noi siamo in sintonia con noi stessi. Al contrario, più queste due immagini si discostano tra loro, più noi viviamo in uno stato di inadeguatezza ed insoddisfazione. Una persona che ha di sé un’immagine negativa tende a percepire tutta la realtà con una luce scura e tale immagine tende a stabilizzarsi. Di fronte a messaggi positivi di affetto e stima, la persona reagisce con rifiuto perché non può credere a quei messaggi positivi.

L’incapacità di recepire il messaggio reale vale anche per persone che hanno di sé un’immagine positiva ma irreale. Solo avvicinando il sé reale a quello ideale si può raggiungere il benessere e l’autorealizzazione. Ma il sé reale non è semplice da percepire soprattutto se si cerca di assecondare le richieste e le aspettative delle altre persone pensando erroneamente di essere amati di più. Molte persone non vogliono rogne diventando accondiscendenti. Altre si impongono, spesso per non farsi mettere i piedi in testa. Io stessa ho rincorso il mito della brava bambina che faceva le cose per accontentare i genitori. Non è mai stata una bella tecnica. Non ha mai funzionato. La verità è che le aspettative delle persone non sono affar nostro. Soprattutto se non sono in linea con le nostre. Ed è palese capire il motivo visto che poi il corpo si ribella con i suoi sintomi. Il corpo ci fa da specchio e quando non siamo sintonizzati mostra il nostro conflitto interiore. Quando un corpo smette di lottare, si assiste al libero flusso vitale altrimenti distorto o interrotto dalla corazza nevrotica. Quanto più la percezione del proprio corpo si avvicina alla realtà, tanto più l’energia vitale è libera di circolare e di trovare autonomamente il proprio equilibrio. Esistono diversi modi per accettarsi per come si è, volersi bene per realizzarsi pienamente.

Per esempio il teatro che non ha come scopo la messa in scena è una modalità per favorire l’incontro tra l’immagine del sé ideale e quella del sé reale. Utilizza l’immedesimazione in altri ruoli, e attraverso un gioco scevro dal giudizio fa emergere le diverse parti di noi stessi, abbattendo le nostre resistenze e superando la nostra dipendenza dai ruoli sociali e dalle aspettative ad essi collegati. Nel gioco del teatro possiamo entrare in contatto con diverse maschere che ci portano a percepire le cose da un punto di vista diverso.

È ciò che si sperimenta anche attraverso la tecnica de I Sei cappelli per pensare di Eric Berne. Lo scopo è stimolare il pensiero laterale, una forma di ragionamento che va oltre il pensiero logico lineare. Basta procurarsi sei cappelli con differenti colori. Ogni volta che ne indossiamo uno sfruttiamo al massimo le sue peculiarità senza paura di sbagliare o di fare delle gaffe perché il segreto per farli funzionare è sospendere ogni tipo di giudizio e indossarli tutti uno alla volta.

Il cappello blu piacerà tantissimo alle persone che amano le regole. È il cappello che serve per gestire, dare i tempi, amministrare le situazioni e contenerle. Io lo uso tutte le volte che ho una scadenza e devo darmi delle priorità. Ma spesso lo uso anche quando sono presa dal panico e mi devo dare una regolata! Essendo sempre stata una persona impulsiva ho imparato che per prendere decisioni importanti o per valutare una risposta ho bisogno di prendere tempo per raffreddare il motore ed essere più obiettiva. Ecco che vien buono il cappello bianco, quello dei fatti concreti, dei numeri, delle probabilità, delle percentuali. Ho capito che invece di agitarmi è più saggio e salutare aspettare di avere un quadro completo della situazione. Per esempio, tendo a non preoccuparmi più di tanto nemmeno quando devo andare a fare una visita medica perché senza le giuste informazioni potrei agitarmi per niente.

E siccome non è detto che le cose debbano andare per forza male, allora indossare il cappello giallo mi fa vedere il bicchiere mezzo pieno. La vita se ci facciamo caso è piena di opportunità, di risorse, di situazioni positive e anche di poesia. Il cappello giallo ci apre alla meraviglia della vita. Lo indosso abbastanza spesso per vedere tutti i vantaggi possibili che si potrebbero presentare nelle situazioni. Ad ogni modo il senso della misura è sempre la cosa migliore e crescere significa anche considerare ciò che non va. Quindi ottimismo sì, ma fondato!

Cupo e tenebroso, il cappello nero è sempre pronto a tirare fuori i possibili rischi di una situazione. Cosa ci impedisce di agire in un certo modo? Cosa ci blocca? Qual è il vantaggio secondario nel rimanere in una situazione negativa? Perché non sempre i nostri comportamenti sono razionali. Non lo sono neppure quelli di chi gioca in borsa, prende decisioni immediate e rischia ogni momento. È lì che entra in gioco il cappello rosso. L’irrazionale, lo sconosciuto, l’emotivo, l’inconsapevole. È l’istinto, la pancia che parla, l’impulsività di un cazzotto al muro. Un pianto liberatorio. Uno schiaffo di rabbia. Un bacio inatteso. Un colpo di fulmine. Gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, disgusto, paura.

Ma la vita non è mai banale e fa tanti giri. Il cappello verde ne è la prova perché quando lo indossiamo possiamo intravvedere le diverse alternative possibili. È il cappello delle sliding door, del piano B, delle possibilità. Dell’altra ipotesi di sé.

Cambiare cappello permette di inquadrare il discorso da una specifica prospettiva escludendo l’affollamento dei pensieri, dividendo razionalità ed emotività fino ad integrarle in un’unica mente saggia. Indossando un cappello per volta, si è obbligati ad assumere un certo atteggiamento, ma si è anche più liberi di esprimersi utilizzando le diverse forme dell’umano, spogliandosi di preconcetti o atteggiamenti ricorrenti per abitudine. 

Questo strumento ci permette di cambiare registro, di vedere tutti gli aspetti di un problema per non metterne da parte neppure uno. Ci permette di scoprire risorse che non pensavamo di avere e che possiamo imparare ad utilizzare per non rimanere invischiati in schemi che nel tempo rischiano di diventare troppo stretti.

 Se lo ritieni utile puoi condividere l’articolo sui tuoi canali. Se vuoi una consulenza per approfondire questi temi scrivimi. 

Grazie per il tuo tempo!

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico filosofico e Gestalt Counselor. Umanista convinta, mi occupo da oltre 15 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

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