La vita si sta allungando e potremmo vivere l’altra metà coltivando sogni e pomodori, viaggi e hobby. Ma bisogna lavorare. Il tempo per andare in pensione si sta allungando e chi fa la libera professione come me forse in pensione non ci andrà mai. Che non è poi un problema visto che amo quello che faccio e cerco sempre di trovarci un aspetto ludico e piacevole.
Ma non è così per tutti. Ci sono persone che la pensione la sentono nella pelle. Eppure devono andare avanti. E ci sono quelli che neppure possono chiamare lavoro un’attività mal retribuita e poco sicura.
Dicono sia un problema di welfare ma per risolverlo insistono con schemi desueti.
Allora rivendico il diritto all’immaginazione e a vagabondare! Perché per pensare a qualcosa di diverso e “uscire dagli schemi” bisogna fare spazio. E per fare spazio ci vuole tempo. Per riflettere, per riempirsi gli occhi. Per assimilarle. Creare. Un momento dell’ozio che non va d’accordo con il nostro stile di vita. Eppure, come sosteneva San Benedetto, c’è un tempo per pregare e uno per lavorare!
Rivendico la mia indole distratta ad acchiappar farfalle. Rivendico il diritto al viaggio e alla conoscenza. Il diritto a sostare. Rivendico il diritto a rubare idee e rimaneggiarle. Rivendico il diritto alla poesia!

Per certi versi non siamo così diversi dai carcerati che dell’ora d’aria si prendono il cielo.
E per la maggior parte delle persone non c’è alternativa- dicono. Hanno i calli e la faccia segnata, le sopracciglia a coda di rondine. Come a dire arriverà primavera! Ubriachi di realtà virtuali così dispersi che dentro si fa l’eco. Poi ritorna la vita. Stessa storia. Giorno dopo giorno.
Rivendico il diritto alla solitudine e al silenzio. Non perché non mi piaccia la gente ma perché le folle senza volto mi fanno paura. Il costante vociferare mi infastidisce, le battute mi innervosiscono. I corpi ammassati li trovo privi di eleganza. Preferisco le persone e il loro romanzo.
Rivendico il diritto alle parole perché in un mondo numerico non c’è spazio per riflettere. Le parole che sono il ponte sul pensiero, sulla logica e l’immaginazione. Le parole per nominare, che senza si scivola nell’istinto primitivo. Le parole che servono per avere un preciso sguardo sul mondo.
Rivendico il diritto alla curiosità, per cui è necessaria un’educazione dall’infanzia. Che povera la politica che non investe nell’istruzione! Ma per esserlo dovrebbe osare oltre il consenso!
Rivendico il diritto alle diversità. Tutte, indistintamente. La normalizzazione mi fa rabbrividire! Le case di mattoni e cemento, la spesa in ipermercati, le palestre come pollai da batteria. La normalità che vuole la bellezza di filtri meccanici. La normalità che non accetta chi vive in campina, con le giostre e i circhi. Sì, quelli che rubano per strada mica quelli coi colletti bianchi!
Ma la vita è un vortice che ci sradica fino ad Oz, sospinti da qualcosa che non si controlla. Forse è per questo che il vento destabilizza. E quando cambia il vento…
Viviamo nella scatola trita di un dio che non si vede, di una patria che se ne fotte e una famiglia che non esiste.
E poi che bella l’inutilità. Di un mare in tempesta, un fiore che sboccia, dei gatti che strusciano, del profumo del pane. Del sorriso di un anziano che non è poi tanto diverso da quello di un bambino. L’inutilità della bellezza.
E che sublime tenersi in equilibrio sul filo dello stupore. Della sorpresa. Dell’attesa. Perché veniamo al mondo con una domanda e cerchiamo la risposta per una vita. E quando la troviamo è già ora di passare dall’altra parte.
E se tutto il mondo fosse metafora di qualcosa? Si chiedeva il postino di Neruda.
Perché abbiamo il diritto di andare oltre. Perché senza non è possibile pensare ad un’altra possibilità. Abbiamo bisogno del distacco perché quando si è troppo dentro le cose diventano dense e ci confondiamo.
Forse non è ancora il tempo e forse non lo vedrò mai. Ma rivendico ancora una volta il diritto di rimanere a testa in su. Il diritto a rincorrere le nuvole.

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