Ho sognato per tanti anni di visitare il Nepal. Il mio desiderio nasceva da un nome che di per sé è sempre stato come un richiamo. Annapurna, una delle vette più alte del mondo a due passi dal cielo e dalle nuvole. Una delle cime più alte della terra che non ha solo il mio nome ma anche il mio cognome!
In realtà è anche una delle vette più pericolose al mondo, scalata da persone preparate. Eppure molte di queste non sono mai tornate. Io non ho mai pensato di scalarla, perché non ho un’indole sportiva. Ma avventurosa sì. La prima volta che ho pensato di andarci ero molto giovane. Allora mi appassionavano i viaggi esotici e mi incantavo davanti alle storie di eroine in paesi sperduti, che venivano a conoscenza di antichi segreti da custodire. In realtà sono riuscita ad esaudire questo desiderio solo quando ho compiuto i miei quarant’ anni con il mio compagno di viaggio.
Un sogno! Un giorno siamo andati ad una cerimonia buddista in un paesino vicino a Katmandù. Io e Doc, abbiamo due approcci alle usanze locali molto diverse: io timorosa, cerco sempre di chiedere il permesso per tutto. Doc fa esattamente l’opposto. Così durante la funzione religiosa che si svolgeva in un vortice di incenso e litanie, completamente risucchiata nella cerimonia, non mi sono accorta che nel frattempo lui stava riprendendo con una telecamera nascosta e severamente vietata. Sapevo di questa sua mania di rubare le immagini, soprattutto quando non si poteva. Era un divertimento adrenalinico che io non riuscivo a reggere. Così capitava che molte volte finivamo per vedere le cose separati. Io con i ricordi nel taccuino e lui con le immagini nella telecamera o nella macchina fotografica. In realtà se oggi posso rivederne alcune è proprio grazie alla sua spavalderia!
A pensarci il Nepal è una finestra sul mondo. Come le sere stellate a Bandipur in mezzo al nulla se non la vita di un bosco lussureggiante. In questi posti non ci si arriva in auto e la camminata è spettacolare. Il cielo è un mantello di diamanti che fa sentire piccolissimi e commossi per farci parte. Il sutra del diamante cita: ”Come le stelle, un difetto della natura, un finto spettacolo, gocce di rugiada, o bolle di sogno, un lampo balenante o nuvola, così si dovrà vedere ciò che è condizionato”.
Chi visita il Nepal deve fare i conti con l’impermanenza che ritorna anche noi sogni notturni.

Ne ricordo uno in cui ho assistito ad una cerimonia presieduta dal Dalai Lama. All’entrata, su una colonnina, mi veniva chiesto di inserire il documento di identità. Una volta inserito, ho aspettato la restituzione e con mia sorpresa mi sono accorta che è stata tagliata a metà. Non so cosa voglia dire di preciso ma è chiaro il riferimento all’essere o non essere. Forse ha a che fare con la mia convinzione che si passi oltre metà della vita a darci un’identità e l’altra metà a lasciar andare in attesa di non essere più, almeno in questa forma!
Ma i viaggi sono avventure belle per questo. Eravamo all’aeroporto di Katmandu in partenza per Pokara, un posto davvero fuori le righe per chi come noi occidentali è abituato ad un certo ordine. Invece chi viaggia in oriente sa bene che l’aeroporto può essere un grande mercato con un disordine che sembra avere un suo senso.
Ottobre dovrebbe essere il periodo perfetto per visitare questo paese ma il tempo si era proprio messo di traverso. Iniziò improvvisamente a diluviare in modo così fitto che tutti i voli furono annullati. In un primo momento mi sono messa a fare l’unica cosa possibile cioè osservare le persone. Ho potuto notare che nonostante le notevoli differenze, la rete internet è diventata un’ abitudine che lega qualsiasi persona a tutte le longitudini e latitudini. Tutti con il cellulare in mano, tutti connessi con qualcuno. Tutti attendiamo qualcosa, tutti lasciamo qualcosa, tutti andiamo da qualche parte. Tutti abbiamo un motivo.
La maggior parte dei turisti era equipaggiata per il trekking ad alta montagna. Io come equipaggiamento avevo uno zaino con un maglione in più, un paio di mutande e calzini di ricambio che non si sa mai.
Passato il momento riflessivo è iniziata l’impazienza. Ero arrabbiatissima e frustrata perché il viaggio di una vita sembrava perduto, senza considerare che il senso del viaggio sta proprio nel vivere pienamente anche questi imprevisti. E mentre io ero lì a sbuffare come un treno e a pensare a quanto la sfortuna si fosse scagliata su di me, il Doc si era già organizzato per trovare un taxi che ci avrebbe portato direttamente a destinazione. Quella fu una grande lezione di vita. Primo per aver compreso che incaponirsi a voler che sia tutto perfetto è fallimentare, secondo perché non è vero che tutto dipende dalla nostra volontà nonostante il viaggio sia stato organizzato nei minimi dettagli; terzo che nonostante le sfighe della vita si può sempre scegliere se reagire lamentandosi oppure trovare un’alternativa compatibile con la situazione. Grande Doc, uno a zero per lui!
Quindi ci siamo messi in marcia con un viaggio di oltre 300 Km in auto con strade sconnesse e il diluvio mandato da Yahweh, Budda e qualche dio indù per divertirsi un po’ con noi umani. Il traffico e il modo di guidare non mi era del tutto sconosciuto perché oltre all’assonanza, devo dire che tra Napoli e il Nepal non ci sono poi tutte queste differenze! Ma dopo sei interminabili ore siamo finalmente arrivati in questa bellissima cittadina ai piedi dell’ Annapurna.
Il resto del soggiorno è stato davvero spettacolare. In quel posto c’è una quiete magica data dai ritmi lenti del lago. E poi gli stupa sono spettacoli della cultura e si intrecciano armonicamente con il paesaggio. Come quello per la Pace nel mondo, il più grande che sia mai stato costruito. Qui si incontrano persone che vengono da ogni parte. Forse in ciascuno di noi esiste il desiderio di pienezza e quiete interiore che si sperimenta in questi luoghi. La vita è un caleidoscopio fatto di impercettibili sfumature. E prenderne atto significa cominciare a vedere che tra tutte le cose del mondo c’è un legame e che è solo un’illusione della nostra mente volerci vedere separati.
Ragioniamo spesso per opposti, bianco-nero, giusto-sbagliato, caos-silenzio. E non ci rendiamo conto che l’essenziale sta in ciò che li tiene insieme esattamente come succede a Gompa Jangchub Choeling a Tashi Palkhel, un villaggio di monaci tibetani in esilio, dove i rituali di preghiera recitati con le tipiche litanie convivono benissimo con le voci dei bambini che ridono e corrono e si fanno i dispetti.
Ma il pezzo forte che non dimenticherò mai è l’incontro con una nonnina di Bandipur. Avrà avuto 100 anni – o mille dai segni sulla pelle. Alta un metro e venti e piena di energia. Mi fece cenno di sedermi accanto a lei e io mi accovacciai per raggiungere la sua statura. Lei iniziò un suo discorso che sembrava avere una logica. La signora che le stava di fianco mi fece segno che non c’era molto con la testa. Mi guardava, io le sorridevo non capendo un fico secco di quello che stava dicendo. Ma l’armonia dell’eloquio e la delicatezza dei modi mi rapiva. Risultato, ho passato tutto il pomeriggio a chiacchierare con una signora di un altro mondo, in un linguaggio che neppure io conoscevo e ci siamo pure divertite ma matti!

Forse quello che ho cercato in questo viaggio è l’incontro con il divino. In questo frangente ho allargato l’orizzonte e ho sentito che la vita è qualcosa di più grande, dove nascita e morte sono solo parte della stessa vicenda terrena.
Così, diventa importante imparare ad abbandonare le zavorre inutili e con il tempo anche la vita. Perché come ci insegnano i filosofi lo scopo è imparare a morire. Lao – Tzu dice che tutti gli esseri fioriscono e fiorire significa ritornare alla propria radice. Questa Certa Signora che chiamiamo morte è solo cambiamento. Come perdiamo ogni sette anni parti biologiche di noi, così mutiamo continuamente fino a non essere più solo qualcosa di fisico.
Il senso della vita è vivere ogni istante per fiorire. Chi ama la vita non ha paura della morte perché vive ogni attimo ben radicato nel presente. Questo è ciò che definisco una vita piena e buona. Non ho avuto nessuna illuminazione particolare da questo viaggio, ma ho potuto sperimentare attimi di grazia che ho poi rivissuto poche altre volte e che non avrei riconosciuto se non l’avessi sperimentata qui, in questa finestra sul mondo.

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Grazie per il tuo tempo!
Ma che meraviglia grazie per questo spettacolo di foto e parole
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Grazie mille a te che hai dedicato il tuo tempo alla lettura!
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È stato un piacere
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Allora alla prossima!
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