L’esistenza è una cosa bizzarra. Si passa necessariamente la prima parte della vita a darsi un’identità per essere individui con carattere e perciò persone. A volte in modo autentico altre in modo costruito, del tutto inventato e virtuale.
Se poi si ha coraggio, creatività, intuito e un po’ di fortuna, si riesce anche a lasciare un’impronta. Che è il solo modo di trovare il proprio posto in questa terra.

Poi verso la fine, bisogna ritirarsi e iniziare un lungo cammino per lasciar andare e non essere più.
Forse era questo che voleva dire Amleto e a questo sarebbe importante educarsi.

La riflessione sulla morte è stata infatti il principale stimolo allo sviluppo della filosofia.
«Come ogni essere vivente, l’uomo subisce la morte, ma a differenza di tutti gli altri la nega con le sue credenze nell’aldilà. La morte è infatti l’avvenimento più naturalmente biologico ma anche il più culturale, quello da cui nascono la maggior parte dei miti, dei riti e delle religioni (E. Morin, L’uomo e la morte, Meltemi Editore, 2002)
Nella sua opera del 1927 intitolata Essere e tempo, il filosofo tedesco Martin Heidegger parlò di autenticità della vita, ovvero di una vita vissuta appieno facendosi consapevolmente carico della propria individualità e libertà, senza addurre a giustificazione del proprio operato costumi diffusi, convenzioni generalizzate e generalizzazioni impersonali di senso comune.
A fondamento di questa “vita autentica” stava la presa di coscienza della propria finitezza: l’uomo è un essere-per-la-morte, dotato di un tempo limitato di vita che lo separa dalla sua nascita alla sua morte. Accettare la propria finitezza, unica fonte di senso della sua esistenza, è presupposto necessario della vita autentica.
Se Platone riteneva che filosofare fosse imparare a morire, Heidegger ritiene che la morte dia senso alla vita umana, obbligando ciascuno di noi a dare significato alle proprie azioni nel tentativo di valorizzarle.
È chiaro che ciascuno di noi può vivere inautenticamente appoggiandosi a soluzioni già approntate da altri e accettate in accordo con convenzioni diffuse. Possiamo persino immaginare un’eternità attraverso la costruzione di Avatar perfetti e presenti nel presente, anche se non ci siamo più… perché chi lo dice che quello che stai leggendo non sia frutto di un’illusione e io sia ora in un altro luogo?
Ma l’essere nel tempo ed essere finiti sono due ingredienti necessari per farci riflettere sulla nostra esistenza:
Rifletti:
Come vuoi che sia la tua vita?
Che persona vuoi essere?
Quali sono i talenti che puoi mettere a disposizione della comunità?
Qual è la tua impronta?
Quale il tuo contributo?

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