Il Mito di Cura

All’alba del mondo, la Dea Cura, mentre passeggiava pensierosa nella solitudine, arrivata sulla riva di un fiume, vide che i suoi piedi lasciavano un’impronta sull’argilla. 
Cura infilò le mani in quel fango e vide che si modellava sotto le sue dita. Fece delle figure simili a sé. Vennero così perfette e belle che sembravano vere, così implorò Zeus che desse loro la Vita.
Zeus immediatamente esaudì la richiesta di Cura, per ricambiare la dedizione della Dea per tutte le volte che lo aveva assistito quando era stanco, massaggiato quando era indolenzito, ascoltato quando era preoccupato e consigliato su come alleviare le ansie dell’Universo.
“Per tutte le volte che ti sei preso cura di me, io ascolterò la tua preghiera”, disse.

Ma non appena Zeus vide la meraviglia sotto ai suoi occhi, le due forme d’argilla si muovevano e danzavano come divinità, volle appropriarsene, dando loro il nome. Nella discussione intervenne anche Gea.
Quando Cura, che amava ormai le sue creature, capì che quelli, piuttosto che abbandonare la disputa e la contesa, avrebbero distrutto la magia, corse a chiamare Crono il saggio.
Questi, dopo lunga meditazione, così sentenziò: 
“Tu, Zeus, hai dato lo spirito. Alla loro morte, lo spirito tornerà a te”
“Tu, Gea, che hai dato l’argilla, alla loro morte riceverai il corpo”.
“Tu Cura ,che per prima hai creato e fatto vivere il corpo, lo possiederai finché vivrà e si chiamerà Homo perché è stato tratto dall’ humus”.

Cura era felice, ma cominciò a rendersi presto conto che quelle due creature erano mortali e fragili, debolissime e incapaci di provvedere a se stessi autonomamente e se non costantemente nutrite, sostenute, restaurate, si rompevano.
Erano costantemente vittima della natura, del tempo, dei pericoli esterni e continuavano ad ammaccarsi e rompersi.

Nel frattempo Zeus progettava conquiste e potere per quelle creature e Gea organizzava lavori nei campi e subordinazione delle leggi del tempo.
Per Cura, invece, cominciarono le ansie e gli affanni per mantenere in vita quegli esseri fragilissimi: non dormiva più, non mangiava più, e sopperiva ad ogni loro mancanza, soprattutto quando cimentavano nei grandi progetti divini, che loro non riuscivano a portare a termine.
Si arrabbiava con Zeus, Gea e Crono, ricordando loro che era lei a dover organizzare la vita di Homo.
Ma gli altri non rinunciarono alle loro conquiste ambiziose, così sentenziarono di lasciare a Cura solo le creature più fragili e più inclini a sfaldarsi sotto il sole e a contatto con l’acqua e il vento.
Cura fu declassata a Dea inferiore, capace solo di occuparsi di persone ansiose e angosciate, inabili e fragili, soprattutto femmine.

Ma Cura non si arrese e continuò a dispensare amore e attenzioni, a proteggere dalla malinconia, dai turbamenti, dalle ingiustizie e dagli inganni del tempo, dai dolori, dalle ossessioni e dalla paura di invecchiare. Parlava alle creature con amore, intrecciava i loro capelli come fossero un canto e donava loro le leggi del mondo

Intanto gli uomini, presi in faccende di potere e superiorità, non si ricordavano più di essere fragili oggetti di fango e continuavano a uccidere e soggiogare la Natura e tutte quelle anime fragili che continuavano a tornare a Cura chiedendole conforto.
Quando gli dei tutti si resero conto dell’opera di Cura, della sua dedizione e della sua instancabilità lei ormai era fuori dal tempo e dallo spazio.

Era diventata per tutti la Curandera, colei capace nel silenzio di accollarsi le ansie e gli affanni, nell’inquietudine della precarietà umana nella sua quotidiana esposizione alle difficoltà del mondo a guarirli con il canto delle mani e l’incanto della voce.

Il mito di cura, Higynus, Liber Fabularum. II sec. D.C.

Riflessioni

1. Quando ti sei sentita/o pienamente compresa/o?

2. Che tipo sensazioni hai provato?

3. Che attitudine deve avere una ‘curandera’ per farti sentire bene?

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico filosofico e Gestalt Counselor. Umanista convinta, mi occupo da oltre 15 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

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