«Ci sono troppi dispersi nel mare che fu di Virgilio, troppi cadaveri che fluttuano a mezz’acqua perché quei versi si possano ancora leggere solo come poesia. Sono diventati cronaca»
Maurizio Bettini
Homo sum, un testo che ripercorrendo i classici della cultura antica ci aiuta a riappropriarci di ciò che oggi chiamiamo “diritti umani”.
Esso inizia con l’Eneide e il naufragio dei Troiani sulle coste di Cartagine (nei pressi dell’odierna Tunisi, nel canale di Sicilia) mentre sono diretti in Italia. Enea e i suoi vengono accolti dalla regina Didone in nome dell’umanità e del rispetto verso gli dèi, perché le frontiere si chiudono di fronte agli aggressori, non ai naufraghi.
Oggi più che mai non possiamo leggere quei versi dell’Eneide senza attuare un confronto tra i profughi troiani in fuga dalla loro città devastata dalla guerra e gli odierni migranti che scappano dai propri territori martoriati. Non possiamo cioè fare a meno di pensare alle tragedie ‘umanitarie’ che quotidianamente si compiono in quello stesso braccio di mare, il canale di Sicilia.
Non si può più leggere un classico senza attivare cortocircuiti mentali con la realtà che ci circonda. E non si può neppure pensare che chiudendoci nei problemi delle nostre case, possiamo ritenerci immuni e salvi dalle disgrazie a cui assistiamo ogni giorno.
L’Eneide in questo caso, si presenta per noi come «un grande libro della cultura» che ci ha trasmesso non solo letteratura ma idee, modi di pensare, costumi come quello dell’accoglienza.
Anche Cicerone, nel De officiis, elenca le prestazioni che stanno alla base della società umana, i communia (elargizioni che devono essere offerte a patto che non danneggino coloro che ci sono legati da stretti vincoli): l’obbligo di concedere l’accesso all’acqua, di permettere che si accenda fuoco da fuoco, di dare un consiglio onesto a chi deve prendere una decisione.
Questi «doveri umani», ricordano le maledizioni scagliate dai Boùzygai (un antico collegio sacerdotale dell’Attica) contro tre categorie di persone: coloro che negavano fuoco o acqua a chi ne faceva richiesta, coloro che si rifiutavano di mostrare la strada agli erranti, coloro che lasciavano insepolto un cadavere.
Di quest’ultima colpa si è macchiato Creonte nell’ Antigone di Sofocle: il suo divieto di seppellire il cadavere di Polinice ha rotto il patto con gli dèi, ha proibito un dovere umano la cui osservanza fa capo alla divinità. La rilettura di Antigone, portatrice dei ‘diritti umani’ violati, oggi ci ricorda che troppi cadaveri, privi di onori funebri, «galleggiano a mezz’ acqua nel Mar Mediterraneo».
In un mondo occidentale sempre più popolato da ‘stranieri’, il primo principio dell’umanità potrebbe essere proprio la volontà di conoscere chi arriva sulle nostre coste.
Aprirsi con curiosità all’ altro non è soltanto un gesto di humanitas, ma diventa l’unica via per vivere il nostro tempo.