Ci sono luoghi per chi sbaglia. Alcuni sono istituti di passaggio, altri sono più duri. C’è un di qua e un di là. Un fuori e un dentro.
Per entrare si deve portare il mimo indispensabile. Niente telefono, niente internet. Niente di niente se non tutto il necessario per la nostra attività, regolarmente dichiarato una settimana prima.
Poi il primo cancello. Il primo controllo. Ci aspettano perché per entrare perché abbiamo mandato i nostri documenti. Quindi sanno chi siamo.
Ma noi non sappiamo mai chi sono loro.
Un’altra porta. Poi un altro controllo. Il rumore di porte che si aprono. L’odore di ferro. Attraversiamo un lungo cortile a elle. Un altro varco si apre e che si chiude. Siamo dentro.
Curiosa e affamata di umanità, sono affascinata dalle situazioni bizzarre, estreme dove le persone sono ricche e autentiche, dove l’errore è la cifra per un eventuale apprendimento.
Le nostre donne ci aspettano in biblioteca. Due ore dove il tempo di relazione si confonde nello spazio e i luoghi fisici prendono altre forme. Solitamente, i colloqui con familiari, conviventi e terze persone sono chiesti dalle detenute ed autorizzati dal direttore dell’istituto.
Gli incontri con estranei possono essere autorizzati solo quando ricorrono ragionevoli motivi. Bisogna presentarsi allo sportello dell’ufficio “rilascio colloqui” dove l’accesso è preceduto dalla verifica dei documenti e da un controllo con eventuale deposito di effetti personali indicati dall’operatore penitenziario.
Noi siamo lì per farle comunicare. In ogni incontro esploriamo un senso e questo ci consente di entrare in contatto con loro velocemente. Alcune sono molto giovani. Alcune mamme e mogli. Altre solo figlie. Molte hanno voglia di parlare, altre annuiscono. Le straniere sono attente e chiedono di farsi tradurre quello che diciamo.
Spesso violate e tradite dalla vita, amano comunque ridere e condividere. E vogliono parlare, essere ascoltate anche quando non è facile perché per raccontare ci vuole coraggio.
Hanno volti segnati ma quando giochiamo i loro occhi si illuminano. Hanno voglia di muoversi e di scherzare, di prenderla un po’ con leggerezza, perché “c’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un amore … sulla cattiva strada”.
Due ore volano via velocemente. Ci abbracciamo reciprocamente e ci diamo appuntamento per la prossima settimana.
Non vado per giustificare né per giudicare. Comprendo e rimango con la strana sensazione che tra me e loro ci sia soltanto quel vigliacco gioco del destino che ci ha fatto nascere casualmente in luoghi diversi, ci ha fatto conoscere persone diverse e frequentare ambienti diversi. Di questo giorno mi porto l’umanità che dà calore, la verità che non necessita di finzione, l’attesa del prossimo incontro e la speranza di una seconda possibilità.