Anna, nessuno ti chiede mai come stai?
La domanda arriva di sorpresa, del tutto inaspettata, come certa pioggia nei giorni di calura quando si è travolti e intimamente si avverte il bisogno di fresco. È una domanda legittima anche se impropria perché nel contesto relazionale tra la figura del counselor e del cliente, solitamente è il contrario. Eppure l’ho apprezzata. Grazie ad essa mi sono ri-scoperta e come spesso avviene nella relazione.
È stato il pretesto per far chiarezza sul concetto di ruolo e sulla motivazione che mi spinge in questa direzione.
Non so quanto sia stato deontologicamente corretto, ma questo incontro lo abbiamo passato così, parlando di me. Di me oltre il ruolo, come donna e soprattutto come persona. Ho avuto modo, grazie a questa domanda, di farmi conoscere in un contatto che, in quel momento, richiedeva verità per tutti e due. E per questo che gli rendo grazie per avermi lasciato il suo spazio, non per evitare qualcosa ma per creare un incontro autentico.
Scoprire che la figura alla quale ti sei affidato non è un guru, aiuta ad “uccidere il Budda” e riprendersi la responsabilità della propria vita.
Questa è la magia di certe professioni!
Che ci costringono a vedere oltre le categorie sociali.
In questa dimensione siamo dei privilegiati perché abbiamo la possibilità di incontrare quel poco di umanitas che è rimasta.
È l’incontro che va oltre il rapporto commerciale, il marketing, il raggiungimento dell’obiettivo e la dinamica di potere. È l’espressione del Bene che accoglie la fragilità oltre ogni misura.
Umberto Galimberti scrive:
Nella società ciascuno è funzio
nario ed esecutore di azioni descritte e prescritte dall’apparato di appartenenza, nell’amore ha lo spazio per essere se stesso, reperire la propria identità profonda al di là di quella declinata dal ruolo, cercare la propria realizzazione e l’espressione di sé …[1]
Così quando ripenso al motivo che mi spinge verso questa professione, sia come formatrice che come counselor, riscopro il piacere di incontrare la parte più umana della gente, quella fatta di passioni, paure, frustrazioni, desideri, sogni … la parte autentica, saggia, poetica.
È per questo che nonostante gli strumenti del mestiere di medici, psicologi, sociologi, formatori, insegnati, coach e counselor …, ritengo che ci sia un’intima saggezza, quella della relazione che sa già tutto.
Noi come professionisti, siamo solo uno strumento per sollecitare questa meraviglia. È la persona che sceglie il cammino, nel bene e nel male.
Noi possiamo solo far conoscere diversi sentieri. Ancora una volta il punto sta nelle possibilità che offre la magia chiamata relazione!
[1] U. Galimberti, Le cose dell’amore, Ed Feltrinelli 2010, pag. 12