Riscoprire il fascino discreto della cortesia
Attraverso la gentilezza possiamo instaurare rapporti duraturi nel tempo.Una parola detta con un certo tono di voce, una frase cortese alla fine di un discorso o di una e-mail, possono davvero fare la differenza sia nella vita privata che sul lavoro.Purtroppo oggi sembra prevalere l’opposto: odio, risentimento, rancore anche senza apparente motivo.
Questo video sulla GENTILEZZA è il secondo argomento del percorso «I 4 passi per le buone relazioni».
Il tema della gentilezza può sembrare obsoleto ma ogni volta che incontro un cliente o vado in un’organizzazione, le problematiche più evidenti si riferiscono ai comportamenti tra le persone. E siccome il tema mi è particolarmente sentito, ho scritto un libro intitolato “Attraverso la gentilezza”.
È noto che un tono di voce delicato e sicuro, maniere cortesi ed eleganti siano importanti nella gestione dei rapporti. Spesso, però, ci dimentichiamo quanto lo siano anche parole come “buongiorno”, “permesso”, “per favore”, “grazie”, “mi dispiace”.
Essere gentili è un modo di sentire, trasversale in tutte le culture. Nel Rinascimento si esprimeva attraverso l’amor cortese e nella filosofia confuciana vi è un termine, il «li» che indica le buone maniere, i riti e le cerimonie che hanno come scopo il comportamento rispettoso.
Ma quando un comportamento è solo apparenza e quando è davvero autentico e perciò sentito? Non è un caso che in molte situazioni lavorative sia tra colleghi che nella relazione con i clienti, un saluto o un grazie, possono davvero favorire la relazione. Oppure il suo contrario.
Allora si creano incomprensioni e si passa per maleducati e arroganti.
Ancora più spesso il comportamento gentile e cortese viene influenzato dagli stereotipi e dai pregiudizi che la società individualista gli attribuisce: allora essere cortesi diventa essere falsi, manipolativi, deboli, non capaci di difendersi.
Diventa la natura dei perdenti.
In realtà gentilezza fa parte della nostra natura sociale e relazionale.
La sua funzione è farci sentire connessi con le altre persone ed essere a nostra volta contenti quando riceviamo gentilezza.
Quindi, gentilezza non significa essere deboli! Piuttosto, delimita un confine tra noi e gli altri. Ci consente di spostare il focus fuori da noi per portare la nostra attenzione verso l’altro. Ma per fare questo dobbiamo renderci conto che ogni nostro comportamento è dettato dalla nostra responsabilità. Responsabilità anche nel modo di mostrare le mostre emozioni. Ma quando non lo siamo? Non lo siamo quando ci sentiamo attaccati e alziamo in modo grezzo le difese contro il mondo. In questo caso non basta contare fino a 10. Bisognerebbe capire cosa ci provoca così fastidio.
Il punto è che la maggior parte delle persone perde un po’ di stima di sé perché crede che per farsi rispettare bisogna essere a propria volta prepotenti. Ma a chi piace sentirsi cafone, arrogante e maleducato? … io penso a nessuno!
Penso che l’atto di gentilezza sia prima di tutto un atteggiamento che adottiamo verso noi stessi e poi verso gli altri. Per essere gentili non ci vuole solo educazione.
Ci vuole un’alta considerazione di sé e dell’altro che deriva da una buona autostima e una forte dose di self control. Bisogna conoscersi molto bene e scegliere di volersi comportare in modo cortese, perché siamo e diventiamo il personaggio che interpretiamo di più!
Quindi la domanda che dovremmo porci è:
«Come voglio essere? Come voglio venire percepito? Come posso essere gentile e farmi rispettare?»
In conclusione, questo modo di fare non è solo formalità, ma espressione di noi stessi e di ciò che sentiamo per la cura dei rapporti.
In questo caso essere gentili è forma che diventa sostanza.
Grazie per avermi letto fin qui, vi aspetto per il prossimo articolo sull’ EMPATIA il terzo de “I 4 PASSI PER LE BUONE RELAZIONI