Il valore del lavoro va oltre la produttività. Forse è per questo che il primo articolo della nostra Costituzione ne parla come valore fondativo.
Le persone che si sentono capaci e che trovano il modo di esprimere se stesse lavorando, vivono uno stato di engagement che fa bene a tutti. Anche all’azienda. Lo dovrebbero sapere tutti i lavoratori e tutti coloro che gestiscono dei team e il personale in generale.
Per non parlare delle Istituzioni che dovrebbero favorire politiche degne di un tema tanto importante quanto delicato.
Sul piano individuale la motivazione è stata definita come una forza interna che spinge l’individuo a soddisfare i bisogni di base. La motivazione al lavoro si traduce nella necessità incrementare la soddisfazione evitando la frustrazione e l’alienazione di un ruolo solo strumentale. (Herzberg, Mausner & Snydermann, 1959).
La spinta al lavoro non avviene – come molti credono – esclusivamente dalla remunerazione economica (fattore igienico).

Esistono infatti altri fattori come il piacere del lavoro in sé, il riconoscimento del proprio operato, la responsabilità, il desiderio di imparare, la possibilità di successo e di carriera (fattori motivazionali) che hanno un’ulteriore impatto. Ed è proprio per questa ragione che risulta fondamentale prestare attenzione a questi aspetti affinché sia garantito non solo lo sviluppo costante delle persone ma anche quello dei team e delle organizzazioni.
Il tema della motivazione è strettamente collegato a quello dell’engagement aziendale che si riferisce al sentirsi parte di una realtà lavorativa a 360°. Il primo ad aver introdotto in letteratura il concetto moderno di Work Engagement è stato William Kahn (1990), indicando che i lavoratori “engaged” sono coinvolti fisicamente, cognitivamente ed emotivamente dai compiti del proprio lavoro e come tali, sperimentano un senso di significato (ricompensa per essere investiti del proprio ruolo), di sicurezza psicologica (senso di fiducia e sicurezza sul lavoro) e di disponibilità (consapevolezza di avere le risorse fisiche e psicologiche necessarie al lavoro).
A. M. Saks (2006) ha sviluppato questa visione distinguendo tra “engagement del lavoratore” ed “engagement organizzativo” per riflettere i diversi ruoli svolti dai lavoratori. Maslach e Leiter (1997) invece, si avvicinarono alla definizione di engagement come l’opposto del burnout (connotato piuttosto da esaurimento, cinismo e inefficienza)[1].
Ma questa definizione va ben oltre il coinvolgimento in ambito lavorativo; l’engagement è uno stato mentale positivo verso un qualcosa che porta alla soddisfazione personale e lo si può descrivere attraverso 3 fattori:
- Vigore: la componente energetica o fisica e consiste nel mostrare alti livelli di energia e resilienza in caso di difficoltà, nella volontà di investire energie in quello che si fa e nella perseveranza nel portare a compimento i compiti anche superando ostacoli e sfide.
- Dedizione: la componente emotiva si riferisce al forte coinvolgimento emotivo nel proprio lavoro con un conseguente senso di significato, entusiasmo, sfida e orgoglio riguardo al proprio ruolo o mansione.
- Assorbimento: rappresenta la componente cognitiva e riguarda l’essere totalmente concentrati e immersi nel proprio lavoro e non sentirne il peso.
L’ Engagement inoltre è influenzato da quanto ci si sente stimati e coinvolti nella propria realtà ed è un fattore chiave per il successo di ogni azienda. Questo costrutto dipende da tre variabili: Risorse lavorative (clima, cultura), Risorse personali (motivazione), Aspetti caratteriali.
Non si può pensare di misurare l’engagement di qualcuno riferendosi a caratteristiche generiche o troppo soggettive.
Per questo motivo vi propongo una riflessione.
- Quando mi sento davvero realizzata/o sul lavoro?
- Quali sono le attività che mi assorbono completamente?
- Come posso valorizzare le mie competenze?
- Se gestisco delle persone conosco cosa le appassiona?
- Valorizzo le loro qualità?
- Come mi posso rendere promotore/trice dell’ engagement del mio team?

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