Cosa significa prendersi cura? Chi sono le figure professionali che possono farlo? Quali sono i confini tra salute e malattia e quali tra le professioni?
Ho scritto questo libro nel 2020 ed eravamo in piena pandemia. Stavo facendo docenza ad una classe di Oss – operatori socio sanitari – e mentre ci confrontavamo, mi sono resa conto di avere tante esperienze da raccogliere e condividere. Tutte avevano come filo conduttore il potere curativo della relazione.
Credo che questo sia un libro adatto non solo per chi si occupa professionalmente della relazione d’aiuto ma anche per chi si trova a dover gestire situazioni complesse e talvolta dolorose.
Insomma un po’ tutti quelli che non voltano la faccia davanti alla sofferenza e che credono che sia ancora possibile l’umanità.

Lo scopo di questo lavoro è condividere teorie, esperienze e modalità di essere centrate sulla ‘relazione d’aiuto’. Un modo che diventa parte integrante per la cura di anziani, di persone affette da problemi psichiatrici, dipendenza, disabilità fino alle patologie legate alle ‘nuove solitudini’.
Già negli altri libri “Attraverso la gentilezza” e “La ballata dell’elefante” avevo trattato il tema della relazione perché questo tema mi accompagna da sempre.
Nel primo libro ho sviluppato temi inerenti la comunicazione “gentile” soffermandomi su quel filo sottile che c’è tra intimo e privato. Dove l’intimo, al contrario del privato, ci riporta all’universalità dell’io. Dove il modo in cui appoggiamo lo sguardo e pronunciamo parole crea la misura in cui so-stiamo nel mondo.
Nel secondo ho voluto usare il dialogo tra due protagonisti che intrecciando domande di senso su sentimenti e valori, costruiscono il proprio personalissimo modo di stare in relazione. In questo modo iniziano un viaggio in cui si accorgono che la relazione è il solo antidoto contro la pesantezza del vivere, rappresentato metaforicamente dal peso specifico dell’elefante.

Quest’ ultimo libro invece, si sviluppa come percorso formativo pensato per consentire al lettore di acquisire e sviluppare le capacità indispensabili per rapportarsi con gli altri attraverso una relazione che è terapeutica per entrambi i soggetti che ne sono parte.
In una società complessa dove la tecnica sta regolando tutte forme della società, dalla famiglia alla scuola, dal lavoro all’assistenza sanitaria, i problemi che emergono dovrebbero essere considerati attraverso una visione integrata che tenga conto della complessità e che vada oltre la visione di una “società malata”. Prendere questa definizione come un assunto significa approcciarsi ad essa escludendone le diverse sfaccettature. Attraverso di essa si tende a favorire alcune categorie professionali ben organizzate a discapito di altre che sono nate in un secondo momento dall’esigenza storica e/o dai nuovi problemi emergenti. Inoltre diventa un alibi per tutte quelle figure che hanno rinunciato alla propria responsabilità preferendo il lamento alla determinazione.
Il rischio di voler estendere il dominio della razionalità e della tecnica laddove non è necessario è quello di non accettare la dimensione del dolore e della sofferenza come dimensioni dell’umano. Se tutto dev’essere visto sotto la lente tecnica e terapeutica, allora si esclude quella tendenza attualizzante insita nella vita.
Credo che ogni professione meriti dignità e preparazione, specialmente quelle che si basano sulla relazione d’aiuto dove il grado di coinvolgimento emotivo e relazionale, oltre alle competenze specifiche, mette in gioco aspetti profondi del nostro essere.
Infine, chi si occupa di relazioni d’aiuto, che sia Oss o infermiere, che sia insegnante o terapeuta, medico, assistente sociale o counselor, si configura come un cercatore di storie. Ed è per questo che ho pensato di affiancare alla teoria, storie vissute in prima persona, ascoltate, viste al cinema o lette in un romanzo: per rendere più facilmente accessibili gli argomenti trattati e per creare un collegamento con il vissuto quotidiano di chi opera in ambito sanitario, sociale e non solo.

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