(disegno di F. Battiato)
Tutti ci insegnano a vivere ma nessuno ci insegna come morire. E’ il tabù della nostra società. Un limite che crea sofferenza.
(Blade Runner, regia di Ridley Scott, 1982)
Spesso ci accaniamo per tenerci in vita. Ma quando è il momento di lasciarci andare?
Quando l’accanimento ci rende carne senza spirito?
Per imparare a morire è fondamentale una riflessione su di sé e la propria interiorità spirituale. Un cammino di saggezza che ci accompagna per tutta la vita. Non si può improvvisare nè pensare che avvenga in modo spontaneo.
Nessuno vuole parlarne. Cerchiamo piuttosto di aggirarla come il cavaliere de “Il settimo sigillo” che conoscendo la natura beffarda dell’oscura signora, decide di prendere tempo sfidandola a scacchi.
(Il settimo sigillo, regia di Ingmar Bergman, 1858)
Eppure nonostante tutte le spiegazioni scientifiche, nonostante tutte le cure e gli interventi di presa in carico oggettivi, esiste comunque uno spazio privato in cui rimaniamo soli di fronte al nostro dolore e al mistero. In questi momenti la relazione e l’accudimento diventano il solo balsamo capace di alleviare la propria inquietudine verso l’ignoto.
Saper morire significa dare un significato alla nostra esistenza, riconciliandoci con quest’ultima parte della vita in vista di un altrove.
In questo modo la morte diventa un valore che legittima la vita, trasformando il cammino umano in esperienza per “restituirci la libertà“.
E’ un cammino centrato sul lasciar andare e sul riconoscersi in un Noi che perdura nonostante la fine e che ci pone in uno stato di accettazione indispensabile per legittimare l’esistenza, compresa l’ultima sua manifestazione.
L’attesa della morte diventa un viaggio iniziatico verso un altro luogo, un altrove inesplorato e indicibile con le parole della ragione.
E dopo che succederà? Una domanda che richiede conforto nella spiritualità.
Ecco cosa manca davvero un’educazione spirituale che ci consenta di dare senso e significato al nostro agire, alle nostre scelte, ai nostri vissuti, desideri, timori, relazioni e scelte.
L’assenza di spiritualità inaridisce la natura umana rendendola meccanica. Lo si vede nella musica, nell’arte e nella maggior parte delle attività contemporanee.
Tutta l’arte è espressione dello spirito e Vasilij Kandinskij lo sapeva molto bene scrivendo il suo testo “Lo spirituale nell’arte”(1910).
La nostra anima è unica e libera. E non vuole omologazione. Ma per renderla tale dobbiamo non solo darcela. Dobbiamo anche liberarla.
E questo avviene quando nell’ultimo miglio riconosciamo nel senso e, quando possibile, la speranza di una continuità.
Quando questo avviene, possiamo raggiungere la sensazione che il nostro destino si stia compiendo e sia inutile resistere all’ordine naturale dell’universo.
Perciò vi auguro di alzarvi dal lungo banchetto della vita soddisfatti e sazi, per ritirarvi sereni da un’altra parte!

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