Tutto è connesso. Perchè leggere Angela Davis nel 2025


La nostra contemporaneità, segnata da tensioni crescenti e da ingiustizie che sembrano non avere fine, mi ha portato a riflettere sulle connessioni profonde e spesso invisibili che attraversano le nostre vite. In particolare, ciò che sta accadendo a Gaza mi ha spinto ad approfondire il tema delle connessioni tra oppressione e resistenza, tra dolore e speranza portandomi ad incontrare il pensiero di Angela Devis. Attraverso questa lettura mi sono persuasa di quanto sia importante abituarci a pensare alla complessità per comprendere i fenomeni e ad accettare che le contraddizioni possano coesistere per mantenere vivo il dibattito.

Perché come scrive la stessa Devis viviamo immersi in contraddizioni. Da un lato, gli orrori dell’occupazione e della violenza sistemica che oggi è rappresentata dal genocidio a Gaza; dall’altro, la resilienza dei popoli che lottano per un futuro più giusto. Abitare queste contraddizioni non è facile, ma è lì, tra le pieghe di ciò che sembra irrisolvibile, che possiamo scoprire ciò che è fertile, ciò che può generare nuove possibilità di liberazione e solidarietà. Perché come ci suggerisce il titolo di questo libro, la libertà non è mai scontata ma una lotta costante.


La lotta per i diritti civili, il concetto di intersezionalità e l’idea dell’abolizione delle carceri non sono mai stati confinati a uno specifico contesto geografico o sociale. L’autrice nel corso della sua vita, ha sempre sostenuto che la giustizia non può essere limitata da confini nazionali e che le lotte per la liberazione in diverse parti del mondo sono profondamente interconnesse. Tra queste, la questione palestinese emerge oggi più che mai come una delle battaglie più urgenti e simboliche dei nostri tempi, in cui i principi di giustizia, equità e solidarietà globale trovano un’applicazione concreta.


Il conflitto israelo-palestinese è uno degli esempi più evidenti di come oppressione, colonialismo e violazione dei diritti umani si intersechino. La popolazione palestinese vive da decenni sotto occupazione militare, con restrizioni alla libertà di movimento, espropriazioni di terre, demolizioni di case e violazioni sistematiche dei diritti fondamentali ma noi ce ne accorgiamo oggi come se fosse tutto frutto del 7 ottobre (2023).

Angela Davis ha sempre sottolineato come la condizione del popolo palestinese rifletta molte delle dinamiche di oppressione che ha combattuto negli Stati Uniti. In particolare quelle legate al razzismo, al colonialismo e alla militarizzazione della polizia. Come ben documenta, esiste una connessione tra il sistema di controllo israeliano sui palestinesi, l’apartheid sudafricano, la segregazione razziale negli Stati Uniti, dove la discriminazione istituzionalizzata crea cittadini di serie B.

La militarizzazione del territorio palestinese e la repressione dei movimenti di resistenza sono espressioni di un sistema che criminalizza intere popolazioni, proprio come il complesso carcerario-industriale criminalizza le comunità nere e povere negli Stati Uniti.
La colonizzazione delle terre palestinesi è un esempio vivente di come il colonialismo continui a operare nel mondo moderno, mentre la resistenza palestinese rappresenta un’eco delle lotte anticoloniali globali.

La Davis ha sempre sostenuto che non possiamo parlare di giustizia sociale in un contesto isolato. Le oppressioni sono interconnesse e richiedono una solidarietà globale. La lotta del popolo palestinese non è separata da quella contro il razzismo negli Stati Uniti, contro il colonialismo in Africa o contro le disuguaglianze di genere e classe in tutto il mondo.

Nel suo celebre discorso in solidarietà con la Palestina, ha dichiarato:
“La giustizia per la Palestina è legata alla giustizia ovunque nel mondo. Non possiamo separarci da queste lotte globali.”

L’intersezionalità diventa quindi uno strumento per comprendere come le cause dell’oppressione siano radicate in un sistema globale di sfruttamento, che si manifesta in modi diversi ma con meccanismi simili:
– in Palestina, attraverso l’occupazione, i posti di blocco e la frammentazione delle comunità.
– Negli Stati Uniti (e non solo), attraverso il razzismo sistemico, la violenza della polizia e il sistema carcerario.
– In tutto il mondo, attraverso il capitalismo, che genera disuguaglianze e privatizza risorse vitali come la sanità, la scuola e le carceri.

Quest’ ultimo a me caro dal momento che presto volontariato presso il carcere femminile della mia città. Nel libro emerge un forte legame tra la visione abolizionista delle carceri e la lotta palestinese. In Palestina, migliaia di persone, inclusi bambini, vengono incarcerate ogni anno nelle prigioni israeliane, spesso senza un giusto processo, attraverso il sistema della detenzione amministrativa. Questo sistema non è solo una forma di punizione, ma anche uno strumento per spezzare la resistenza e controllare la popolazione.

Cosa centra tutto questo con noi? Leggendo le pagine del libro emerge che il  complesso carcerario-industriale si applica anche qui perché le prigioni diventano parte di un sistema più ampio che criminalizza i poveri e gli oppressi, mentre le aziende private traggono profitto dalla militarizzazione e dall’incarcerazione di massa. Per esempio, il legame diretto tra gli Stati Uniti e Israele, evidenzia come le forze di polizia americane e israeliane collaborino spesso per sviluppare tattiche di controllo e repressione grazie ai servizi di  cybersicurezza. Non è un caso che il gruppo multinazionale G4S che  trae profitto dall’incarcerazione dei prigionieri palestinesi, controlli una società per la sicurezza negli USA attraverso carceri private e sistemi di sicurezza per i cittadini.

La questione palestinese dimostra quanto sia attuale la visione di una lotta globale contro l’oppressione. Non possiamo dimenticare come la giustizia non può essere parziale o settoriale; deve essere universale e includere tutte le persone oppresse.
La solidarietà è fondamentale: dobbiamo unirci alle comunità emarginate per combattere insieme un sistema che perpetua disuguaglianze e violenze.


L’abolizione del carcere come viene concepito ora, è l’ esempio di come si possa porre fine a tuti i sistemi di oppressione, partendo da quelli coloniali e militari. Dobbiamo pensare ad un mondo che vada oltre il sistema detentivo attuale costruendone uno basato sulla giustizia riparativa, sulla solidarietà, sulla cura, sull’istruzione e sulla sanità pubbliche.

Come Davis ci ricorda:
“La libertà non può essere parziale. Finché anche una sola persona sarà oppressa, nessuno potrà essere veramente libero.”

Oggi la lotta per la Palestina, così come quella contro il razzismo, il sessismo e il capitalismo, è una lotta per tutta l’umanità. È un invito a ripensare il mondo e a impegnarci per costruire una società in cui la giustizia e la dignità siano diritti universali, e non privilegi per pochi. Un invito a continuare quei movimenti che scendono in piazza per battersi contro le ingiustizie.

***

Raccontare storie , condividere riflessioni e partecipare è un modo per combattere la disumanizzazione e sentirsi meno impotenti. Siamo gocce in un oceano ma tante gocce creano onde giganti.
Grazie per il tuo tempo.

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico esistenziale e Counselor Professionista Supervisore. Mi occupo da oltre 20 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

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