Scrivere: atto di scoperta, comunicazione e trasformazione

Scrivere è un atto che nasce dall’insoddisfazione, dal desiderio di comunicare e dal bisogno di apprendere, come ci suggerisce Italo Calvino nella sua riflessione del 1985. In una lettera, lo scrittore esplora le motivazioni profonde che spingono una persona a dedicarsi alla scrittura, fornendo un quadro intimo e universale del mestiere dello scrittore. Scrivere, per Calvino, non è mai solo un gesto tecnico o artistico, ma un processo di continua ricerca e trasformazione, un tentativo di dare senso al mondo e restituirlo arricchito agli altri.

Calvino inizia sottolineando come spesso chi scrive lo faccia per una sorta di esclusione da altre attività. “Scrivo perché non ero dotato per il commercio, non ero dotato per lo sport, non ero dotato per tante altre cose,” afferma, e aggiunge con autoironia che si sentiva “l’idiota della famiglia,” parafrasando Sartre. Da questa condizione, tuttavia, emerge una consapevolezza: la scrittura diventa un modo per realizzarsi, per trovare un posto nel mondo. Chi scrive, infatti, scopre che stare a tavolino e trasformare pensieri in parole è una forma di comunicazione e di espressione che gli consente di far circolare idee, esperienze ed emozioni.

La scrittura, secondo Calvino, è un atto di mediazione tra ciò che si riceve dal mondo e ciò che si restituisce. “Scrivo per comunicare perché la scrittura è il modo in cui riesco a far passare delle cose attraverso di me,” spiega, sottolineando come le influenze culturali, letterarie e personali si trasformino nel passaggio attraverso la sensibilità unica di ogni scrittore. Lo scrittore diventa così uno strumento di qualcosa di più grande di sé: contribuisce a quella rete di significati che una civiltà produce e rimette continuamente in circolazione. Scrivere, quindi, non è solo un atto individuale, ma un contributo collettivo al modo in cui l’umanità comprende e interpreta il mondo.

Ma scrivere è anche un gesto di insoddisfazione creativa. Calvino spiega che scrive perché non è mai pienamente soddisfatto di ciò che ha già scritto: “Scrivo perché sono insoddisfatto di quel che ho già scritto e vorrei in qualche modo correggerlo, completarlo, proporre un’alternativa.” In questo senso, scrivere non è mai un atto definitivo, ma un continuo processo di revisione e miglioramento, una ricerca di un ideale che sembra sempre sfuggire. Non c’è mai una “prima volta” in cui ci si mette a scrivere: ogni pagina nasce dall’esigenza di riscrivere ciò che è venuto prima, di mettere ordine nel caos creativo.

La scrittura, per Calvino, è anche un atto di apprendimento. “Scrivo per imparare qualcosa che non so,” confessa, aggiungendo che non si tratta solo di acquisire competenze tecniche, ma di esplorare il sapere più generale che chiamiamo “esperienza della vita.” Scrivere diventa allora un modo per colmare le proprie lacune, per accumulare conoscenze, osservazioni e intuizioni. È un tentativo di catturare almeno qualche traccia di saggezza, di trasformare l’incompetenza in un atto creativo. In questo senso, la pagina scritta diventa un laboratorio in cui lo scrittore può simulare esperienze, accumulare informazioni e immaginare mondi nuovi.

Infine, Calvino riflette sul rapporto tra lo scrittore e i suoi modelli. Spesso si scrive perché si ammira un autore e si desidera emularlo: “Scrivo perché leggendo X […] mi viene da pensare: ‘Ah, come mi piacerebbe scrivere come X! Peccato che ciò sia completamente al di là delle mie possibilità!’” Tuttavia, questo desiderio si trasforma presto in un impulso creativo personale: il modello iniziale svanisce e lascia spazio al tentativo di scrivere quel libro che ancora non esiste, ma che si vorrebbe leggere. In questo passaggio, lo scrittore abbandona l’imitazione e si dedica alla creazione di qualcosa di autentico e unico.

La scrittura, nelle parole di Calvino, è quindi un viaggio tra inquietudine e scoperta, tra il desiderio di correggere il passato e l’ambizione di creare qualcosa di nuovo. È un atto di partecipazione alla vita culturale e sociale, un modo per dare ordine al caos dell’esistenza e restituirlo arricchito agli altri.

Scrivere significa far passare il mondo attraverso di sé e rimetterlo in circolazione, contribuendo alla grande narrazione collettiva dell’umanità. In definitiva, la scrittura è un atto di umiltà e ambizione, il tentativo di trasformare l’insoddisfazione in creazione e di condividere con gli altri il proprio sguardo sul mondo.

Lettera completa

“Scrivo perché non ero dotato per il commercio, non ero dotato per lo sport, non ero dotato per tante altre, ero un poco…, per usare una fase famosa [di Sartre], l’idiota della famiglia… In genere chi scrive è uno che, tra le tante cose che tenta di fare, vede che stare a tavolino e buttar fuori della roba che esce dalla sua testa e dalla sua penna è un modo per realizzarsi e per comunicare. Posso dire che scrivo per comunicare perché la scrittura è il modo in cui riesco a far passare delle cose attraverso di me, delle cose che magari vengono a me dalla cultura che mi circonda, dalla vita, dall’esperienza, dalla letteratura che mi ha preceduto, a cui do quel tanto di personale che hanno tutte le esperienze che passano attraverso una persona umana e poi tornano in circolazione. È per questo che scrivo. Per farmi strumento di qualcosa che è certamente più grande di me e che è il modo in cui gli uomini guardano, commentano, giudicano, esprimono il mondo: farlo passare attraverso di me e rimetterlo in circolazione. Questo è uno dei tanti modi con cui una civiltà, una cultura, una società vive assimilando esperienze e rimettendole in circolazione (1983).

Scrivo perché sono insoddisfatto di quel che ho già scritto e vorrei in qualche modo correggerlo, completarlo, proporre un’alternativa. In questo senso non c’è stata una “prima volta” in cui mi sono messo a scrivere. Scrivere è sempre stato cercare di cancellare di già scritto e mettere al suo posto qualcosa che ancora non so se riuscirò a scrivere.

Scrivo perché leggendo X (un X antico o contemporaneo) mi viene da pensare: “Ah, come mi piacerebbe scrivere come X! Peccato che ciò sia completamente al di là delle mie possibilità!”. Allora cerco di immaginarmi questa impresa impossibile, penso al libro che non scriverò mai ma che mi piacerebbe poter leggere, poter affiancare ad altri libri amati in uno scaffale ideale. Ed ecco che già qualche parola, qualche frase si presentano alla mia mente… Da quel momento in poi non sto più pensando a X, né ad alcun altro modello possibile. È a quel libro che penso, a quel libro che non è stato ancora scritto e che potrebbe essere il mio libro! Provo a scriverlo…Scrivo per imparare qualcosa che non so. Non mi riferisco adesso all’arte della scrittura, ma al resto: a un qualche sapere o competenza specifica, oppure a quel sapere più generale che chiamano “esperienza della vita”. Non è il desiderio di insegnare ad altri ciò che so o credo di sapere che mi mette voglia di scrivere, ma al contrario la coscienza dolorosa della mia incompetenza. Il mio primo impulso sarebbe dunque di scrivere per fingere una competenza che non ho? Me per essere in grado di fingere, devo in qualche modo accumulare informazioni, nozioni, osservazioni, devo riuscire a immaginarmi il lento accumularsi dell’esperienza. E questo posso farlo solo nella pagina scritta, dove spero di catturare almeno qualche traccia d’un sapere o d’una saggezza che nella vita ho sfiorato appena e subito perso (1985)”.

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico esistenziale e Counselor Professionista Supervisore. Mi occupo da oltre 20 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

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