Quando Asimov scrisse “Io robot ” probabilmente non pensava a tutto il progresso che negli anni successivi ha portato gli umani a convivere davvero con le intelligenze artificiali.
Il futuro è tracciato ma come sempre rimane una porta misteriosa dalla quale possiamo solo immaginare nuove prospettive.
Dalla confluenza uomo macchina possono nascere possibili freni e paure o nei casi peggiori, una totale assuefazione alla macchina che impedisce all’umano di prenderedecisioni in autonomia.

Le macchine sono molto più performanti quindi che differenza c’è tra una scelta compiuta da un medico umano e quella compiuta da un algoritmo? Che differenza c’è tra un giudice e un algoritmo?”
Ad interrogarsi su questo tema è Paolo Benanti che in “Human in the loop” traccia le linee per un’ etica chiara in cui è il robot che coopera con l’uomo e non l’uomo che si adatta alla macchina.
La prima interrogazione è sul significato di intelligenza che non è deputata in una unità di elaborazione centrale (cervello) ma è piuttosto connessa con tutto l’organismo di cui il corpo è il primo confine dell’esperienza e dell’elaborazione di significati.
Quindi un’intelligenza senza corpo non può essere chiamata tale.
Ma questo problema potrebbe essere superato abbastanza rapidamente. Esistono già dei robot che hanno sembianze molto simili all’umano.
Il vero problema è trovare il modo di tenere l’uomo nel meccanismo decisionale per poter garantire un uso etico delle intelligenze artificiali.
Si tratta quindi, di creare uno spazio di critica sociale in cui sia possibile domandarsi come funzionano gli algoritmi, che funzione hanno, perché usarli e in quali occasioni.
Per fare ciò dobbiamo conoscere le nuove tecnologie ed essere ben consapevoli di come funziona il nostro processo decisionale perché la scelta etica “dipende non solo dall’oggetto della scelta ma anche dalle circostanze nelle quali si sceglie e dalle capacità reali dei decisori” e dalle finalità che ci guidano.
Infine, esiste il problema tempo che nella nostra società è un vero dramma ed è difficile da gestire.
Al contrario dell’uomo la macchina è veloce e non ha dubbi, mentre l’essere umano non solo quando sceglie può sbagliare ma per sua natura fa pure fatica a farlo.
Quindi ciò che è davvero in pericolo è l’idea del nostro libero arbitrio cioè la vera caratteristica che ci rende umani, dotati di coscienza fatta non solo di ragionamento ma anche di sentimenti.
Purtroppo gli algoritmi artificiali potrebbero sostituire il ruolo che attribuiamo alle emozioni acquisendo l’autorità di guidarci nelle decisioni della nostra vita anche per una nostra “pigrizia” nell’uso della nostra ragionevolezza.
Il punto è che per le A.I non è pensabile nessuna forma etica autonoma o implicita visto che non è pensabile far emergere l’etica dai dati.
Ecco perché Benanti propone una algoretica che consideri alcuni elementi essenziali per la cooperazione tra homo sapiens e gli strumenti intelligenti.
1. Intuizione: sono le macchine che devono intuire cosa vogliamo noi umani cooperando con noi.
2. Intelleggibilità: dovremmo sempre sapere cosa la macchina sta per compiere e indirizzarla.
3. Adattabilità: è la macchina a doversi adattare alla nostra personalità. Per esempio un’automobile autonoma dovrebbe adattarsi al nostro modo di guidare rispettando il nostro ritmo e quello del flusso nel traffico.
4. Regolazione: il robot che interagisce con la persona dovrà sempre rispettare la sua dignità adattando i suoi fini e cercando di capire l’obiettivo adeguato alla situazione.
Ancora una volta le decisioni saranno dell’uomo che dovrà stabilire quali sono le priorità operative, tenendo ben presente che il fine non può mai essere l’algoritmo ma la persona e il suo valore unico.
Deve essere l’algoritmo che coopera con l’uomo e non l’uomo che assiste passivamente la macchina.
È chiaro che per fare ciò il mondo istituzionale, accademico, in sinergia con quello aziendale dovranno riflettere sull’etica.
Sarà solo attraverso una governace condivisa, che non si concentri solo sulle soluzioni ma che apra un dibattito critico che regoli le A.I a mantenere al centro il senso dell’umano.
La mia domanda è ne saremo capaci?
Riferimento
Benanti P. Human in the loop, Mondatori
Paolo Benanti: «Ecco cos’è l’algoretica e perché ce n’è bisogno»