Uguaglianza e cura: la Costituzione in pratica

In questi giorni ho ripreso in mano La Costituzione attraverso le donne e gli uomini che l’hanno fatta, di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso.
Era da tempo che questo libro mi aspettava, posato su uno scaffale, in silenzio.
L’ho riaperto ora, in questo momento storico così complesso, perché sento il bisogno profondo di ritornare ai principi che regolano il nostro Paese, alle parole che fondano la nostra convivenza e ci ricordano chi siamo — e forse anche chi potremmo ancora diventare.

Non è soltanto un libro sulla storia della nostra Carta costituzionale: è un viaggio nella dignità umana, nella responsabilità e nella possibilità di pensare un Paese più giusto partendo dalle persone.
E più andavo avanti nella lettura, più mi accorgevo che c’erano molti punti di contatto tra la Costituzione italiana e la mia professione — tra l’articolo di legge e la pratica dell’ascolto, tra il principio politico e la relazione umana.


Quando leggo la Costituzione mi viene da pensare che, in fondo, sia anche un grande atto di cura.
Cura delle persone, delle differenze, delle fragilità.
È questo lo spirito che anima anche il mio lavoro come counselor e formatrice: accompagnare le persone a riconoscere i propri diritti interiori, la propria libertà di scelta, la propria responsabilità verso se stesse e verso gli altri.
Gratteri e Nicaso scrivono che “la Costituzione è un programma che spetta a noi tradurre in fatti concreti”.
Forse vale lo stesso per il benessere: nessuno ce lo garantisce dall’alto, va costruito ogni giorno, con la mente, con il cuore e con le relazioni.


Quando il libro ricorda la voce delle ventuno Madri Costituenti, mi sono emozionata. Tra queste fecero parte della Commissione dei 75 Maria Federici Agamben, Angela Gotelli, Nilde Iotti, Teresa Noce, Lina Merlin.
Quelle donne, in un Paese ferito dalla guerra, seppero portare dentro la Carta la forza della cura, della parità, della giustizia, della maternità come valore sociale.
È un’energia che riconosco bene nel lavoro e nel volontariato: nei gruppi d’ascolto con le donne del carcere di Modena, e in ogni incontro in cui una donna riscopre la propria voce.
Queste donne hanno scritto articoli di legge, ma anche semi di libertà: la libertà di essere, di scegliere, di non essere definite solo dal proprio ruolo.


Un altro passaggio del libro che mi ha colpita è quello dedicato al principio di uguaglianza.
Gli autori scrivono che “non bisogna aspettare che sia la Costituzione a realizzare il suo sogno di uguaglianza”.
Questa frase sembra scritta per chi si occupa di relazioni d’aiuto: l’uguaglianza non è una condizione esterna, è un percorso di consapevolezza.
Quando accompagno una persona a riconoscere i propri limiti e potenziali, vedo nascere quella stessa spinta che la nostra Carta voleva custodire — il diritto di diventare pienamente se stessi.


C’è poi l’articolo 11, quello che “ripudia la guerra”.
Gratteri e Nicaso lo chiamano “un principio morale”.
Io lo leggo anche come una consegna umana: ripudiare la guerra dentro di noi, nelle parole violente, nei giudizi frettolosi, nei conflitti che ci tengono separati.
Ogni volta che aiutiamo qualcuno a trasformare la rabbia in ascolto, o la paura in comprensione, stiamo praticando la cultura della pace.

Negli ultimi mesi questo articolo ha assunto per me un significato ancora più concreto.
Sto portando avanti un progetto per sostenere le famiglie di Gaza, che in questi tempi stanno perdendo non solo la vita, ma anche la dignità, la speranza, la possibilità stessa di raccontarsi come persone e come popolo.
Ho sentito il bisogno di agire, di trasformare il dolore in presenza, di offrire — nel mio piccolo — uno spazio di umanità dove tutto sembra negarlo.
L’articolo 11 non è solo un enunciato giuridico: è una chiamata alla responsabilità etica, alla solidarietà attiva.
E forse ogni gesto di aiuto, ogni parola che difende la dignità di chi soffre, è già un modo per tenere viva la promessa di pace che la Costituzione ci affida.


Nell’ultima parte del volume, gli autori parlano delle “famiglie al plurale” e del diritto a esistere nelle proprie differenze.
Mi piace pensare che anche nel lavoro con i gruppi e le organizzazioni si parli, in fondo, di questo: creare spazi dove ciascuno si senta riconosciuto, dove la diversità non è un intralcio, ma una risorsa.
La Costituzione chiama tutto questo “pari dignità sociale”.
Io lo chiamo bellezza delle relazioni umane.


Gratteri e Nicaso chiudono con le parole di Piero Calamandrei:

“La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. Bisogna rimetterci dentro ogni giorno l’impegno, lo spirito, la volontà.”

Leggendo, ho pensato che lo stesso accade nelle persone. Anche noi abbiamo bisogno di essere “riaccesi” ogni giorno.
La nostra libertà non è mai garantita per sempre; si rinnova con la scelta, con la consapevolezza, con il coraggio di restare fedeli ai nostri valori, con la partecipazione attiva attraverso il voto.


Forse è questo il filo invisibile che unisce la Costituzione al mio lavoro:
entrambe credono nella possibilità dell’essere umano di diventare costruttore di senso, di giustizia e di gentilezza.
Ogni volta che accompagno qualcuno a ritrovare la propria direzione, ogni volta che scelgo di agire per la pace e per la dignità, sento che — nel mio piccolo — sto anche io contribuendo a tenere viva la Costituzione.

***

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico esistenziale e Counselor Professionista Supervisore. Mi occupo da oltre 20 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

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