Per chi ha un approccio esistenziale il viaggio è metafora della vita. Le tappe dell’evoluzione, le crisi che inevitabilmente attraversiamo, le difficoltà, i fallimenti, gli inciampi. Le risalite, le soddisfazioni. Le vittorie. Sono tutti momenti assimilabili al viaggio. Ma c’è chi nasce turista e chi nasce viaggiatore e molto spesso questo modo di vivere si riflette anche sulle ferie perché riguarda il nostro stile personale.
Il turista gode della vacanza come una parentesi che lo sospende dalla quotidianità che poi, del resto, se ne riparlerà al rientro. È il momento del sogno ad occhi aperti, quello che si avvera, dove si può far finta di vivere un’altra vita, magari quella di un altro o come vorremmo che fosse la nostra. Solitamente il turista cerca di vedere tante cose in poco tempo e molto spesso lo fa catturando immagini per postarle sui profili social, non solo per dimostrare agli altri ma soprattutto per costruirsi un passato piacevole. Non solo invidiabile dagli altri ma soprattutto per se stesso. La vacanza diventa un tuffo nel sé ideale dove tutto deve essere perfetto e senza sbavature. L’organizzazione avviene nei dettagli e solitamente tutto ciò porta via moltissime energie. È per questo che gli imprevisti vengono vissuti come tragedie. Il risultato si condensa in aspettative ansiogene e probabili delusioni. Le parole d’ordine sono organizzazione, precisione, ordine, certezze.
Il viaggiatore invece, è amante della lentezza, non confonde il tempo con gli orologi. È un poeta giramondo, raccoglitore di attimi in ragnatele di rugiada. Succhia l’essenza del momento conservandolo nelle vene; viaggia non per consumare ma per assimilare. Si perde nel significato dei simboli e nella continua e curiosa ricerca di possibilità. Viaggiare è un modo per conoscere se stessi mettendosi alla prova. Si osservano i volti, si catturano sguardi, si leggono i corpi, i valori, le tradizioni. E con la mente libera si sospende ogni tipo di giudizio. Come uccelli migratori ci si dirige dentro l’incognita, oltre il punto di non ritorno. Le parole d’ordine sono rischio, apertura, curiosità, coraggio e meraviglia.
Per viaggiare in questo modo non servono zavorre ma qualcosa di snello e veloce da portare via. Si impara a viaggiare con il necessario e molto spesso diventa utile partire con poco più di uno zaino e un trolley da stiva. Non è facile passare da turisti a viaggiatori e non sempre è necessario ma talvolta può essere utile.

Qualche anno fa io e il mio compagno andammo in Irlanda, un viaggio decisamente più semplice rispetto ad altri come il Nepal, il Mozambico, la Cappadocia o il deserto del Marocco. Non amo organizzare, piuttosto preferisco tratteggiare una bozza di itinerario e vedere poi sul posto di volta in volta cosa succede. Diciamo che per l’Irlanda, non avevo particolari pensieri se non il biglietto dell’aereo, qualche bed and breakfast e un’auto per avere qualche tappa fissa da raggiungere in autonomia. Mi affascinava l’idea di attraversare le colline dell’isola e I cieli d’Irlanda cantata da Fiorella Mannoia. Mi immaginavo un viaggio dolce e rilassante senza troppe insidie.
Qualche giorno a Dublino è stata tappa classica sulle orme di James Joyce. La ricerca dei volti descritti in Gente di Dublino mi affascinava a tal punto da non prestare attenzione al mio zaino aperto e al mio tablet magicamente sparito. Dunque, la sfortuna o la beffa di qualche folletto dispettoso che mi dava il benvenuto! Per fortuna sporgere denuncia non è stato complicato, anzi direi che sono stati molto disponibili e comprensivi, forse impietositi da mio volto che incredulo, non riusciva a farsene una ragione. Ma il viaggio era solo iniziato e come dicevo prima, bisogna accettare anche i rischi.
Partiti da Dublino siamo arrivati a Drogheda, una tappa interessante non tanto per la cittadina industriale, che merita una piccola sosta, ma perché punto strategico per visitare alcuni siti archeologici come la tomba megalitica di Newgrange o il famoso Trim Castle, ovvero il castello di Braveheart. Avevamo scelto un alloggio privato presso una famiglia anche per fare un po’ di conversazione e per conoscere meglio usi e costumi. Naturalmente le recensioni trovate online erano davvero tutte molto buone e i contatti prima della partenza facevano presagire un soggiorno piacevole e rilassante. Una volta arrivati la padrona di casa e sua figlia ci accolsero con calorosa ospitalità mostrandoci la nostra stanza al secondo piano di una villetta irish style, con tanto di fate e gnomi burloni che facevan capolino da sotto il letto.
La sera uscimmo a cena in un tipico pub e poi a letto presto, visto che a una certa ora sembrava ci fosse il coprifuoco. Quando si viaggia on the road la sera si è molto stanchi; perciò, andare a letto presto non è un sacrificio visto che durante la giornata e con le gambe in spalla si macinano molti chilometri. Se il corpo è fiacco lo sono anche gli occhi e io sento il bisogno di ritirarmi. La mattina seguente, sistemate le poche cose nello zaino siamo partiti all’avventura con il cestino della merenda preparatoci con cura.
Inutile dire che questi luoghi sono davvero suggestivi. Abbiamo negli occhi tanti film medievali e musiche e immagini tratte da racconti e fiabe. Difficile non lasciarsi affascinare anche solo per gioco dall’atmosfera magica e misteriosa dei cimiteri celtici e delle colline di Tara. In quei luoghi il tempo passato parla al presente con un linguaggio di sensazioni e suggestioni. Quando si dice che il cielo irlandese è basso è proprio vero perché le nuvole si possono quasi toccare. Le colline verdi si alternano a nubi di pecore che attraversano le strade con serafica tranquillità e con l’ardire di chi reclamare il suo protagonismo. Guardami – dice la bestia – adesso tocca a me e io ti darò lo spettacolo che desideravi! La bella gita è finita con molta soddisfazione e con un certo languorino così decidemmo di tornare a casa, riposare prima di uscire nuovamente per cercare un ristorante per la sera. Ma quel pomeriggio le cose andarono diversamente.
Arrivati a casa potevamo usare le chiavi ma essendo ospiti abbiamo pensato di suonare il campanello. Una volta assicurati che non ci fosse nessuno abbiamo aperto la porta e ai nostri occhi si è presentato uno spettacolo degno di una scena tratta da un thriller. Sul pavimento, sulla porta e sulle scale, chiazze di sangue sembravano tracciare un percorso. Forse più increduli che spaventati, siamo entrati chiedendo se ci fosse qualcuno ma non c’era anima viva. Allora decidemmo di seguire le tracce e andammo prima in cucina dove non c’era alcun segno e poi decidemmo di andare al secondo piano. Lì ci trovammo davanti ad una scena agghiacciante: nella camera della padrona di casa, la Tv ribaltata sul pavimento e sul letto un coltello da cucina di quelli affilatissimi inzuppato di sangue. Terrorizzata e presa dal panico la prima reazione è stata quella di prendere i bagagli per scappare via.
Per fortuna il mio compagno che è saggio e con i piedi sa stare ben piantato a terra al contrario di me, decise con fermezza di chiedere aiuto ai vicini. In men che non si dica si mossero tutte le famiglie del quartiere e dopo poco arrivò anche la polizia. In quei casi ho rimpianto la mia idiosincrasia per l’inglese ma capendo il nostro stato d’animo, ebbero buon cuore. Così, dopo un interrogatorio che durò mille anni ci lasciarono andare. Naturalmente quella sera cercammo un altro alloggio perché di dormire in quel posto non se ne parlava proprio. Solo il giorno dopo ci arrivò una telefonata da parte della padrona di casa che ci raccontò il tragico evento successo alla figlia finita in ospedale. Ma non abbiamo mai saputo se per tentato suicidio o per una colluttazione.
Dentro pochi bagagli leggeri e piccoli è facile infilare ciò che serve per davvero e in quel momento l’indispensabile erano i documenti, le carte di credito, un paio di mutande di ricambio, un maglione per coprirsi, il cellulare con le prenotazioni per proseguire e poco altro. In quei casi non c’è tanto tempo da perdere e il piano B non è sempre a portata di mano. Ricordo che quella sera non c’era un hotel neppure a pagarlo perché in città c’era una fiera ed era tutto prenotato da tempo, ma con i soldi alla mano si riesce a risolvere quasi tutto, almeno in queste situazioni. Sogniamo l’avventura e molto spesso la immaginiamo come si vede nei film dove tutto finisce per il meglio. Ma viaggiare significa mettere in conto di dover affrontare anche situazioni spiacevoli. E siccome le cose vanno sempre a braccetto, nella tappa successiva a Derry, incontrammo un gruppo di giovani con le facce tumefatte per i tafferugli avvenuti durante una manifestazione con la polizia. La suggestione fu immediata. Catapultati direttamente dentro la canzone degli U2 Sunday Bloody Sunday che ricorda la tragica domenica di sangue avvenuta il 30 gennaio 1972 proprio a Derry, dove i soldati britannici spararono a 26 pacifisti che stavano protestando contro le barbarie dell’operazione Demetrus, che aveva visto l’internamento senza processo di cittadini irlandesi sospettati di terrorismo. Per fortuna nulla di tutto ciò aveva a che fare con quello che era successo poco prima del nostro arrivo e da quel momento in poi il nostro viaggio si trasformò in una vacanza.
Solo ora che scrivo questo episodio mi rendo conto di quanto sia stato denso perché non mi capita mai di ripensarci. Disfarsi di ciò che non serve è necessario per andare avanti e non rimanere imbrigliati da inutili zavorre. Per fortuna esistono meccanismi di difesa della mente che quando sono sani ci facilitano l’esistenza. Non è un male rimuovere, distorcere o ripensare agli eventi con la lente della narrazione. Infondo ogni vita è un romanzo e ogni romanzo un viaggio che si porta dietro tutto ciò che è indispensabile per andare avanti.
A patto di fare spazio!

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