Comprendere i bias cognitivi nella lettura di “Quando il mondo dorme”

“O ci impegnamo a essere la rivoluzione oppure falliremo, perché nessun cambiamento può avvenire nel mondo se prima non avviene dentro di noi”. F. Albanese

Non conoscevo Francesca Albanese e non conoscevo bene l’inferno che sta succedendo a Gaza. Quando nel 2023 sono stata in Giordania ho capito da alcune persone del posto che la situazione stava degenerando. Mai però avrei pensato  che si potesse arrivare a  tanto fino a quando non ho letto “Quando il mondo dorme“. In questo testo così scorrevole, emerge una profonda riflessione sulla narrazione dominante che circonda il conflitto israelo-palestinese. Albanese esplora come la propaganda e il linguaggio politico influenzino la percezione globale della questione palestinese, contribuendo a perpetuare un sistema genocida.

Man mano che scorrevo le pagine mi chiedevo come fosse possibile non rendersi conto di quanto sia palese ciò che sta avvenendo. Così, tra le tante cause, ho provato a pensare se ci fosse una relazione tra il modo distorto di leggere quanto sta accadendo e i bias cognitivi di cui non siamo coscienti.

Gli esperti di neuroscienze ci dicono che il pensiero veloce si nutre di scorciatoie facili ma che sono l’esatto contrario del  pensiero critico e consapevole.

Propaganda, bias cognitivi e conflitto

Dalle pagine del libro, dall’analisi della  propaganda sionista e dei suoi sostenitori,  si evidenziano specifici schemi narrativi per giustificare le azioni a scapito della popolazione palestinese. Questi schemi si nutrono di bias cognitivi profondamente radicati, che distorcono la percezione globale del conflitto e riducono la capacità di riconoscere il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione

Ne analizziamo i principali:

1. Bias della narrazione
La propaganda costruisce una narrazione semplice e lineare che dipinge Israele come una democrazia sotto minaccia costante e i palestinesi come aggressori irrazionali. Questa narrazione ignora le complessità storiche e politiche, riducendo il conflitto a una questione di “difesa legittima”.
Generalmente le persone accettano questo racconto senza mettere in discussione il sistema di apartheid e colonizzazione che Albanese denuncia nel suo libro.
Ciò che si può fare è approfondire la storia del conflitto, andando oltre il racconto dominante, cercando fonti alternative ai media istituzionali. Sono infatti innumerevoli le informazioni che mettano in luce le esperienze e le sofferenze dei palestinesi dalla prima intifada nel 1987 ad oggi.

2. Bias di disponibilità
Le immagini e le notizie che emergono dai media mainstream spesso enfatizzano le sofferenze del popolo israeliano, mentre minimizzano o decontestualizzano quelle dei palestinesi. Questo bias porta a una percezione squilibrata del conflitto.
La sofferenza palestinese viene così banalizzata o ignorata, contribuendo alla disumanizzazione di un intero popolo. Raccontare che ciò che accade oggi è frutto  del 7 ottobre è scorretto perché volutamente elude una parte di storia che arriva da ben più lontano.
Cercare attivamente fonti che documentino le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati e dare voce a chi è sistematicamente silenziato, è il compito che si è assunto Albanese come relatrice speciale delle Nazioni Unite su questi territori occupati. Con lei e al suo fianco si sono schierati altri personaggi, tra cui anche voci autorevoli israeliane che non possono più tacere il genocidio.



3. Bias di conferma
La propaganda sionista si basa su stereotipi che dipingono i palestinesi come terroristi o estremisti, rafforzando pregiudizi preesistenti. Questo bias spinge molte persone a credere che la causa palestinese sia illegittima.
In questo modo si giustificano atti di violenza strutturale contro ogni persona,  anche bambini, come “necessità di sicurezza”.
Non è facile ma mettere in discussione gli stereotipi e riconoscere la resistenza palestinese come un movimento per la libertà e i diritti umani è un atto dovuto, visto il diritto di ogni popolo ad autodeterminarsi.

4. Bias di polarizzazione
Il conflitto viene spesso ridotto a uno scontro binario tra israeliani e palestinesi, ignorando il contesto coloniale e l’asimmetria di potere. Questo bias impedisce di vedere le responsabilità strutturali del sistema di occupazione israeliano.
In questo modo si perpetua l’idea che entrambe le parti siano ugualmente colpevoli, ignorando l’oppressione sistematica subita dalla popolazione di Cisgiordania e Gaza.
Riconoscere l’asimmetria di potere e analizzare il conflitto attraverso una lente di giustizia sociale e diritti umani è il minimo se si vuole guardare al mondo con occhi critici.

Il ruolo della consapevolezza

Francesca Albanese invita i lettori a riflettere su come, a livello globale, l’opinione pubblica sia stata manipolata per accettare lo status quo. Questo stato di “sonno collettivo”, come suggerisce il titolo del libro, è alimentato dalla propaganda e dai bias cognitivi che distorcono la realtà. Per evitare di essere complici di questo sistema, possiamo informarci in modo indipendente e cercare fonti oltre i media istituzionali.
Leggere libri come “Quando il mondo dorme” e opere che mettono in discussione la narrazione dominante è un primo passo fondamentale per non essere complici a nostra insaputa. È importante consultare fonti indipendenti, giornalisti sul campo e testimonianze dirette.

Purtroppo la propaganda si nutre di termini come “terrorismo”, “difesa”, o “minaccia esistenziale”. Anche diventare consapevoli delle parole usate per descrivere ciò che sta accadendo aiuta a riconoscere e smantellare le distorsioni. Israele parla di territorio “conteso” invece che “occupato”, di popolazione “ostile” invece che segregata. Quando si parla di apartheid generalmente si pensa al Sud Africa e a Mandela, in realtà è un sistema in uso in altre parti del mondo, compresi i territori di cui stiamo parlando.

Ma cosa possiamo fare per non voltarci dall’altra parte?

Come formatrice credo che il dialogo sia fondamentale per costruire una comprensione più ricca e offrire alle persone la possibilità di farsi un’opinione diversa. Nelle mie lezioni affronto temi come la gestione dei conflitti, la comunicazione e il valore della relazione nelle diversità. Parlo di empatia; ma come possiamo parlare di empatia se non proviamo compassione verso le migliaia e migliaia di persone che muoiono sotto le bombe, che vengono costantemente umiliate e affamate?

Credo che il massimo della mia indignazione sia arrivato quando hanno iniziato girare sui social le immagini della “riviera balneare di Gaza”. Un disegno diabolico che vuole il più futile divertimento sui morti di quella terra. Da quelle immagini in me è scattato qualcosa. La mia coscienza si rifiuta di far finta di niente e perciò ho iniziato a sostenere ogni iniziativa per questo popolo e i suoi bambini. Questo include denunciare pubblicamente le violazioni, contribuendo alla promozione di campagne di sensibilizzazione come questo articolo.


Chi vive come noi lontano dal genocidio deve riconoscere il proprio privilegio di poter scegliere cosa leggere, vedere e credere. Questo privilegio comporta una responsabilità: quella di informarsi, agire in modo etico denunciando le falsità che vengono continuamente prodotte per distorcere la realtà.

Il libro di Francesca Albanese ci ricorda che il genocidio a Gaza non avviene solo con le armi, ma anche attraverso la manipolazione della percezione globale. La propaganda si nutre dei bias cognitivi che influenzano il nostro pensiero, rendendoci potenzialmente complici di ingiustizie sistemiche. Solo sviluppando un pensiero critico, riconoscendo i bias e agendo consapevolmente, possiamo contribuire a una comprensione più giusta e a una solidarietà concreta con il popolo palestinese e con tutte le popolazioni oppresse.

Se vuoi partecipare alla diffusione del pensiero critico lascia un commento e inoltra questo articolo. Siamo gocce in un oceano ma tante gocce creano onde giganti.

Grazie per il tuo tempo.

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico esistenziale e Counselor Professionista Supervisore. Mi occupo da oltre 20 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

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