Le società gilaniche: un modello per una nuova visione di futuro

Nel vasto panorama della storia umana, spesso si tende a considerare le società come entità sempre in conflitto e dominate da gerarchie e violenza. Ci sono diverse teorie che si reggono sulla guerra come un archetipo e perciò come una forma inevitabile della natura umana[1].

Tuttavia, gli studi di ricercatori come Riane Eisler, ci portano a considerare le “società gilaniche“, un periodo della nostra storia caratterizzato da egualitarismo e cooperazione.

Il termine “gilania” deriva dalle parole greche gynè (donna) e anèr (uomo), con l’intento di sottolineare l’unione tra i sessi.

Queste società esistevano tra l’8000 e il 2500 a.C. e rappresentano un modello di vita in cui la violenza e le gerarchie sociali erano praticamente assenti. In Italia, la società etrusca ne è un esempio interessante.

Gli studi dell’antropologa e filosofa Marija Gimbutas si sono concentrati su diversi siti archeologici come quello di Çatal Hüyük e Hacilar che offrono testimonianze tangibili di queste civiltà in cui i culti della Dea Madre veniva venerata come custode della vita, della morte e della comunità. Le testimonianze che ci arrivano dall’arte e dai reperti sostengono che le società gilaniche erano fondamentalmente pacifiche e cooperative. La rivoluzione agricola, spesso associata a conflitti e gerarchie, nelle società gilaniche si manifestò come un’opportunità per garantire il benessere collettivo, dimostrando che una vita prospera e pacifica era possibile senza la necessità di un’autorità dominante[2].

In queste società le cerimonie religiose coinvolgevano tutta la comunità, rafforzando il senso di unità e appartenenza. A differenza delle società guerriere che sarebbero arrivate in seguito, le comunità gilaniche erano caratterizzate da una vita comunitaria, senza la presenza di fortificazioni militari o schiavitù.

Purtroppo, tra il 4000 e il 2500 a.C., queste furono sostituite da popolazioni nomadi, i Kurgan, che introdussero strutture gerarchiche e patriarcali, portando a un aumento della violenza e dei conflitti. Questo cambiamento segnò una transizione drammatica da un modello di vita pacifico a uno segnato da guerre e dominazione.

In che modo questa visione può aiutare la nostra realtà così divisa e conflittuale?

Ci sono dei punti molto chiari a riguardo tra cui l’importanza della parità di genere e l’inclusione di tutte le voci della comunità. Le cerimonie inclusive delle società gilaniche in cui si metteva al centro la venerazione della vita, suggeriscono che mediazione e dialogo possono essere integrate nei processi decisionali.

È proprio in un contesto segnato da conflitti come quello tra Russia e Ucraina e il disastro tra Israele e Palestina, che diventa cruciale riflettere su come le strutture sociali e culturali influenzino le dinamiche di guerra e di violenza, mettendo in discussione le attuali ideologie patriarcali e capitalistiche che dominano gran parte del mondo.

Il patriarcato, definito da sistemi di dominio maschile e da gerarchie, ha storicamente giustificato l’uso della violenza come mezzo di controllo e di potere. Questa struttura sociale ha contribuito non solo a una disparità di genere, ma ha anche alimentato la cultura del “più forte”, dove la forza fisica e la dominazione diventano le modalità principali per risolvere i conflitti. Le società gilaniche, al contrario, dimostrano che un approccio non violento all’esistenza è possibile.

D’altra parte, il capitalismo ponendo il focus sul profitto, amplifica le disuguaglianze e giustifica l’uso della forza per mantenere il controllo economico. Questa mentalità porta a una continua ricerca di dominio delle risorse, creando tensioni tra nazioni e gruppi etnici.

Quindi, la cultura del più forte e del profitto a tutti i costi alimentano cicli di violenza che non hanno fine. Le guerre contemporanee mostrano come le potenze più forti possano esercitare il loro dominio sugli altri, giustificando atrocità come tutte le forme di violenza in nome della sicurezza, dell’interesse nazionale e dello status quo. Questo approccio contrasta profondamente con il modello delle società gilaniche, dove le relazioni erano al centro della vita quotidiana.

Dinamiche di conflitto: il parallelo tra la cultura del “più forte” e la cultura aziendale.

La mentalità del conflitto e della competizione porta a una visione del mondo in cui la forza è legittimata e accettabile per raggiungere gli obiettivi anche nelle realtà aziendali. Infatti, capita spesso che in queste realtà si favorisca una competizione aggressiva a scapito del benessere dei dipendenti e della comunità. La conseguenza è riscontrabile in un ambiente di lavoro tossico, in cui viene incoraggiata la rivalità piuttosto che la collaborazione.

In questi ambienti non è rara una leadership autoritaria basata sulla dominazione e sul controllo che creano demotivazione e conflittualità. Le conseguenze sono abbastanza evidenti: elevato tasso di abbandono, perdita di talento e conoscenza; paura di esprimere idee nuove a scapito della creatività e dell’innovazione.

Verso un nuovo modello

Per affrontare queste dinamiche distruttive, sia nella politica dei paesi che nella politica delle aziende, è fondamentale adottare un approccio diverso in 3 passi:

Passo 1: invece di incoraggiare la competizione, dovremmo valorizzare l’ascolto e la collaborazione. Le aziende possono trarre vantaggio da un ambiente in cui i dipendenti lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni.

Passo 2: un modello di leadership che promuove l’inclusione e il rispetto reciproco può trasformare le dinamiche interne. I leader dovrebbero ascoltare e valorizzare le voci di tutti, creando un ambiente di lavoro positivo.

Passo 3: le organizzazioni dovrebbero considerare il benessere dei dipendenti come una priorità, riconoscendo che le persone soddisfatte e motivate portano risultati migliori.

In conclusione, in un’epoca in cui i conflitti dominano l’orizzonte europeo e globale, le idee delle società gilaniche ci offrono un’importante alternativa. Riconoscere e affrontare il patriarcato, la cultura del più forte e le disuguaglianze economiche è fondamentale per costruire un futuro di pace e cooperazione.

Il passaggio non è certo sostituire il patriarcato con un matriarcato se le dinamiche sono le stesse; infatti, nelle società gilaniche la differenza tra i sessi è motivo di sinergia e complementarità e non di potere.

In sintesi

  1. Definizione di gilania: introdotto da Riane Eisler, il termine “gilania” si riferisce a una fase storica (8000-2500 a.C.) caratterizzata da società egualitarie e pacifiche, senza gerarchie né autorità.
  2. Critica alla storiografia ufficiale: Eisler contesta l’idea dominante che l’umanità sia intrinsecamente violenta. Sostiene che la violenza è aumentata con l’emergere di società patriarcali e gerarchiche.
  3. Civiltà gilaniche: società basate sul culto della Dea Madre, che mostra l’importanza della figura femminile. Tali civiltà erano caratterizzate da una vita non violenta e da un’economia comunitaria.
  4. Esempi di società Gilaniche: civiltà come Çatal Hüyük, Hacilar, Vinca, Cucuteni e la civiltà dell’Indo sono citate come esempi di queste società avanzate e pacifiche.
  5. Rivoluzione agricola: le società gilaniche hanno sviluppato l’agricoltura non per creare disuguaglianze, ma come una forma di mutualismo. La vita sociale era basata su principi di collaborazione e uguaglianza.
  6. Declino delle società gilaniche: tra il 4000 e il 2500 a.C., le società gilaniche furono sostituite da popolazioni nomadi (i Kurgan), che introdussero strutture gerarchiche e patriarcali, portando a una maggiore violenza e conflitto.
  7. Lascito storico: le società gilaniche dimostrano che una società egualitaria e pacifica è non solo possibile, ma è esistita storicamente. Le tracce di queste civiltà persistono nel tempo e influenzano il pensiero sociale contemporaneo.

È solo rivalutando questi valori e promuovendo un modello di società inclusivo e pacifico che possiamo sperare di mettere fine ai conflitti per creare un mondo migliore per le future generazioni.


Approfondimenti

Riane Eisler, Il piacere è sacro: il mito del sesso come purificazione, edizioni Frassinelli, 1996

Riane Eisler, Il calice e la spada. La presenza dell’elemento femminile nella storia da Maddalena a oggi, edizioni Frassinelli, 2006 Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, Venexia edizioni, 2008


[1] James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi

[2] Marija Gimbutas, Le dee viventi, edizioni Medusa, 2024, pp. 178-183

Se ti è piaciuto l’articolo e vuoi saperne di più contattami,  sarò contenta di confrontarmi con te per fare chiarezza e sostenerti nelle tue scelte!

Pubblicato da Dott.ssa Anna Perna

Formatrice ad approccio umanistico esistenziale e Counselor Professionista Supervisore. Mi occupo da oltre 20 anni di apprendimento continuo, di sviluppo della persona e delle comunità. Sono appassionata d'arte e di viaggi e per questo sempre in cammino.

Lascia un commento

Nemesys

Il mio modo di esserci

Il Diario di LaMeLa777

La mia vita qualunque!

nonsolobiancoenero

La vita è un’enorme tela: rovescia su di essa tutti i colori che puoi (Danny Kaye)

Ontologia Psicoanalisi Logica

Logica, filosofia della scienza. Psicoanalisi clinica didattica. Università degli studi di Padova.

La psicoanalista rinascimentale

Storie di follia ordinaria

Sicilia

Il nostro viaggio d'istruzione