Esistiamo per funzionare e funzioniamo se produciamo e consumiamo, in un processo inarrestabile dove quello che conta veramente è sviluppare al massimo le nostre competenze o c’è dell’altro?
Ci può essere dell’altro?
C’è ancora spazio (fisico, psichico e sociale) per affrontare la complessità della nostra esistenza e inventarsi un cammino verso un futuro che non sia solo orientato al risultato?
Che modelli di riferimento proponiamo ai giovani?
(immagini di Lorenzo Mattotti)
La modalità funzionale della modernità occidentale ha portato a concepire l’essere umano come una pagina bianca modulare dove aggiungere o togliere pezzi in funzione della qualità delle prestazioni da raggiungere.
Le fragilità umane tendono ad essere rifiutate come intoppi nella realizzazione di una felicità del qui e ora, col risultato di alimentare l’angoscia e la paura del futuro.
Dal loro punto di osservazione privilegiato come psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza, Benasayag e Schmit si resero conto, già diversi anni fa, del diffondersi sempre più pervasivo delle patologie psichiatriche dei giovani, da riferirsi verosimilmente ad un malessere diffuso della società, una tristezza generalizzata, che attraversa in maniera sotterranea tutte le fasce sociali e talora si manifesta in gesti eclatanti.
Già nel saggio “L’epoca delle passioni tristi”, i due studiosi rivolgono al lettore l’invito a riscoprire il piacere dell’inutile, del gesto disinteressato, della passione senza esclusivi fini utilitaristici per il proprio talento.
Benasayag, muovendosi all’incrocio tra psicanalisi, biologia e filosofia, riprende e sviluppa ulteriormente tali riflessioni in “Oltre le passioni tristi” e nell’ultima opera “Funzionare o esistere?”
Molto bello il tuo blog, affronti delle tematiche molto interessanti!!! Buonagiornata, comunque meglio esistere 😊🌸
"Mi piace""Mi piace"
Grazie e scusa per il ritardo, spero tu possa continuare a seguirmi!
"Mi piace""Mi piace"