Ci sono lettere che si scrivono per comunicare al destinatario ciò che non riusciremmo a dire perché l’emozione copre le parole.
Ci sono lettere che si scrivono perché dopo averlo fatto ci accorgiamo che non era necessario inviarle perché il vero destinatario siamo noi.
“Cara …. ,
oggi ho scritto una frase, con tanto di codice segreto. La “urlo” soltanto a te. “Non sarò pazzo fino a quando riuscirò ancora a discernere una carezza da un pugno”. Capisco quanto il mio mondo sia fatto di ipotetici piccoli gesti. Talvolta negati, talvolta inaspettati. Comprendo che la rabbia umana, d’incanto, possa divenire pietà. Ma non capisco la difficoltà di un “buongiorno”, la difficoltà di pagare un caffè al bar, la banale indifferenza di chi stringe un orticello che crede ancora suo. Il mio non è più il tempo dei perchè. Più mi sento spiazzato, più sento i miei battiti.
I nostri scricchiolii di luglio. Già. Una cornice di quello che so definire solo abbandono. Già. Nonostante gli altri. I rischi, le giustificazioni da inventare dietro l’angolo. Eccoli di nuovo i battiti. Poi il distacco, quasi necessario. Non ho ben capito se io sono salito sulla tua barca o tu sulla mia. Ma non conta nulla. Su quell’onda c’erano sdraiati i nostri respiri. E definite tutto questo sarebbe miraggio anche per il più spericolato dei filosofi. Vorrei ragionare con la testa. Ma so farlo solo col cuore. Che sanguina e pulsa. E non si arresta.
In questo preciso istante ti lascio una carezza… sperando che riesca a sfiorare quel meraviglioso mondo che hai navigato con me. Due corpi prestati a due anime…come fossero due fantasmi che, d’un tratto, avessero tatto e non solo immaginazione.
Cara avrò paura solo quando non sentirò più il mio cuore pulsare. Quando non sarò più in grado di osservare l’indifferenza della gente. Riprendo le parole di Luis Fernando “Chi quasi muore è ancora vivo, chi quasi vive è già morto”. Io non voglio una vita di quasi. Voglio la mia vita. Il mio mondo, la mia spavalda gioventù. Sono padre, figlio. Ma anche miseramente uomo. Che si misura ogni giorno…anche con se stesso. Cara, ho smesso di piangere. Di lamentarmi, di bussare alle porte fatiscenti.
Ti leggo quando mi dici “spaventa” ed “eccita”… Sorrido. Con immensa tenerezza. Ti tendo ancora la mia mano. Capace di stringere e vogliosa di essere stretta. E grazie a te… Perché questo scriverci ci rende in parte beati, in parte deboli. Ma tremendamente vivi.
Max”
Per approfondire
Duccio Demetrio, L’autobiografia come cura di sé, ed. Raffaello Cortina
Sonia Scarpante, Parole evolute, ed. Sampognaro&Pupi
Scrivo quasi ogni giorno da quando persi i genitori nell’80.
Mi piace sempre più.
Da questa primavera registro 2/3 min. di diario e mando whatsapp a circa 500 ascoltatori.
Dicono che serve..
G.
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